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- Il Bivacco Fiamme Gialle, inaugurato nel 1968, è stato trasferito al MUSE di Trento, segnando un punto di svolta nella conservazione della memoria storica dell'alpinismo.
- Il rifugio Casati, situato a 3.269 metri di quota, è destinato a scomparire a causa dello scioglimento del permafrost, evidenziando l'urgenza di affrontare il cambiamento climatico.
- Il Club Alpino Italiano ha avviato il progetto «Rifugi Sentinella», installando centraline meteorologiche per monitorare temperatura, vento e altri parametri climatici, al fine di valutare l'efficacia delle misure di adattamento.
Una riflessione sul futuro dei rifugi alpini
Il trasferimento del Bivacco Fiamme Gialle al MUSE di Trento, avvenuto il 3 novembre 2025, costituisce un evento emblematico che suscita una profonda disamina sul divenire dei rifugi alpini. Queste strutture, tradizionalmente considerate baluardi di sicurezza, ospitalità e cultura in alta quota, si trovano oggi ad affrontare una serie di sfide complesse e correlate. Tra queste, risaltano il cambiamento climatico, con i suoi effetti diretti sulla stabilità del territorio montano; l’aumento del turismo di massa, che mette a dura prova la capacità di carico degli ecosistemi alpini; e la necessità di conciliare la conservazione del patrimonio culturale con lo sviluppo economico sostenibile delle comunità locali. L’operazione, resa possibile grazie alla collaborazione tra la sezione CAI Fiamme Gialle, la scuola alpina della Guardia di Finanza di Predazzo e i servizi della provincia autonoma di Trento, ha visto l’utilizzo di un elicottero per il trasporto del bivacco da Passo Rolle al MUSE, dove è stato collocato sulla terrazza panoramica.
Il bivacco fiamme gialle: un simbolo di un alpinismo che fu
Il Bivacco Fiamme Gialle, inaugurato nel 1968*, incarna un’epoca di alpinismo pionieristico e di sfide estreme. Realizzato grazie all’impegno congiunto della sezione CAI Fiamme Gialle e di numerosi enti territoriali, con il supporto della Fondazione Antonio Berti di Padova, il bivacco ha rappresentato per decenni un punto di riferimento cruciale per alpinisti ed escursionisti che si avventuravano sulle vette del Cimon della Pala, nelle Dolomiti. La struttura, progettata secondo il modello Berti dall’ingegner Giorgio Baroni, si caratterizza per la sua forma in lamiera zincata verniciata di rosso e per la copertura a sei piani con diverse inclinazioni. Con una superficie di circa 8 mq e un volume complessivo di 21 mc, il bivacco offre nove posti letto, garantendo un riparo essenziale in alta quota. Il trasferimento al MUSE non è quindi un semplice atto museale, ma una vera e propria operazione culturale volta a preservare la memoria storica dell’alpinismo e a sensibilizzare il pubblico sulle sfide che attendono il mondo della montagna. Massimo Bernardi, direttore del MUSE, ha rimarcato come questo evento costituisca un progresso significativo verso la creazione di un’esposizione permanente che illustri l’evoluzione del legame tra la scienza, la natura, le montagne e le comunità. Gli assessori provinciali Francesca Gerosa e Roberto Failoni hanno posto in risalto l’importanza didattica e l’attrattiva turistica di questa iniziativa, che crea un ponte ideale tra il museo e le cime dolomitiche, celebri in tutto il mondo per la loro bellezza ineguagliabile. Il colonnello Sergio Lancerin, che comanda la scuola alpina della Guardia di Finanza e presiede la sezione CAI Fiamme Gialle, ha rammentato il rilievo storico del bivacco, punto di appoggio per decenni per escursionisti e operatori del soccorso alpino, descrivendolo come un emblema di memoria, formazione e sicurezza in quota. Il bivacco verrà riallestito sulla terrazza del MUSE, mantenendo la sua configurazione originale con le otto brande e le coperte originali, offrendo ai visitatori un’esperienza autentica della vita in alta montagna.

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Le sfide del cambiamento climatico per i rifugi alpini
Il cambiamento climatico rappresenta una delle sfide più pressanti per i rifugi alpini. L’aumento delle temperature globali sta causando lo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost, con conseguenze dirette sulla stabilità del territorio montano. Riccardo Giacomelli, presidente della struttura operativa Rifugi e Opere Alpine del Club alpino italiano, ha evidenziato come questo fenomeno stia progressivamente compromettendo la compattezza dei terreni, aumentando il rischio di crolli, frane e cedimenti. Un esempio emblematico è il rifugio Casati, situato a 3.269 metri di quota nel gruppo dell’Ortles-Cevedale, destinato a scomparire a causa dello scioglimento del permafrost. Nonostante i numerosi interventi di consolidamento, nel 2021 è stata presa la decisione di abbattere la struttura e ricostruirla in una posizione più sicura. Lo scioglimento dei ghiacciai non solo mette a rischio la stabilità dei rifugi, ma influisce anche sull’approvvigionamento idrico, rendendo più difficile garantire l’accesso all’acqua potabile per i gestori e gli escursionisti. Inoltre, l’aumento delle temperature può compromettere l’efficienza energetica delle strutture, rendendo necessario l’adozione di soluzioni innovative per ridurre i consumi e utilizzare fonti di energia rinnovabile. Il Club Alpino Italiano, consapevole di queste sfide, ha avviato diverse iniziative per monitorare l’impatto del cambiamento climatico sui rifugi alpini e per promuovere pratiche di gestione sostenibile. Tra queste, spicca il progetto “Rifugi Sentinella”, che prevede l’installazione di centraline meteorologiche presso diversi rifugi per misurare temperatura, vento, pressione, umidità e inquinamento. I dati raccolti consentono di monitorare l’evoluzione del clima in alta quota e di valutare l’efficacia delle misure di adattamento. Inoltre, il CAI promuove la riqualificazione energetica dei rifugi alpini, incentivando l’utilizzo di materiali isolanti sostenibili e di soluzioni costruttive rispettose delle tipologie architettoniche locali.
Turismo di massa e sostenibilità: un equilibrio difficile
L’aumento del turismo di massa rappresenta un’altra sfida cruciale per i rifugi alpini. Se da un lato il turismo può rappresentare un’importante fonte di reddito per le comunità montane, dall’altro può generare problematiche legate alla gestione dei rifiuti, all’inquinamento e alla fruizione eccessiva degli spazi naturali. I rifugi alpini, spesso situati in aree particolarmente vulnerabili, si trovano a dover gestire un afflusso crescente di visitatori, con conseguenze negative sull’ambiente e sulla qualità dell’esperienza turistica. Per affrontare questa sfida, è necessario promuovere un turismo responsabile e sostenibile, che tenga conto della capacità di carico degli ecosistemi alpini e che valorizzi le tradizioni e la cultura locale. Una delle strategie più efficaci è quella di incentivare la destagionalizzazione dei flussi turistici, promuovendo attività alternative allo sci alpino durante i mesi estivi e autunnali. In questo modo, è possibile ridurre la pressione sulle infrastrutture e favorire una distribuzione più uniforme dei visitatori nel corso dell’anno. Inoltre, è fondamentale sensibilizzare i turisti sull’importanza di adottare comportamenti rispettosi dell’ambiente, come ridurre al minimo la produzione di rifiuti, utilizzare mezzi di trasporto pubblici o a basso impatto ambientale e preferire prodotti locali e a km 0. I gestori dei rifugi alpini possono svolgere un ruolo chiave in questo processo, promuovendo pratiche di gestione sostenibile e offrendo ai visitatori informazioni e consigli utili per vivere un’esperienza turistica autentica e responsabile. Mario Fiorentini, presidente dell’AGRAV (Associazione dei Gestori di Rifugi Alpini del Veneto), sottolinea l’importanza di trasmettere un’immagine corretta della complessità e delle responsabilità che gravano sul ruolo del gestore, evidenziando come non ci si possa improvvisare gestori o aiuto gestori, ma sia necessaria una continua formazione e un’esperienza consolidata sul campo.
Verso un futuro sostenibile per i rifugi alpini: innovazione e tradizione
Di fronte alle sfide del cambiamento climatico e del turismo di massa, è necessario ripensare i modelli di gestione e le soluzioni architettoniche dei rifugi alpini. L’utilizzo di energie rinnovabili, la costruzione di edifici a basso impatto ambientale, la promozione di un turismo responsabile e la valorizzazione dei prodotti locali sono solo alcune delle strategie che possono contribuire a garantire la sopravvivenza di queste preziose sentinelle della montagna. Fortunatamente, esempi virtuosi non mancano. Il Monte Rosa Hütte, in Svizzera, soprannominato “cristallo di roccia” per la sua particolare struttura in lastre di alluminio, è un rifugio autosufficiente dal punto di vista energetico, grazie a un sistema di pannelli solari e accumulatori energetici. Un altro esempio interessante è il rifugio Oberholz, in Alto Adige, realizzato con materiali naturali e con un’attenzione particolare alla sostenibilità, che si integra perfettamente nel paesaggio circostante. Il rifugio del Goûter, sul Monte Bianco, con la sua particolare forma ovoidale, è progettato per resistere alle forti raffiche di vento e utilizza sistemi fotovoltaici, solari e biomasse per l’autoproduzione di energia. Questi esempi dimostrano che è possibile coniugare comfort, tecnologia e rispetto per l’ambiente anche in contesti estremi come quelli dell’alta montagna. Come sottolinea Franco Nicolini, gestore del Rifugio Tosa Pedrotti nel Gruppo Dolomiti di Brenta, “il rifugio è un presidio dove chi arriva dovrebbe trovare un posto caldo per riscaldarsi, un letto per dormire e un pasto. Il resto viene dopo”. Nicolini, alpinista e guida alpina, sottolinea l’importanza di assegnare la gestione dei rifugi a persone che amano la montagna e che conoscono profondamente il territorio. Alessandro Gogna* osserva, inoltre, che “oggi i rifugi si stanno trasformando sempre più in piccoli hotel di alta quota dove inseguire le pretese dei clienti che non conoscono le difficoltà per inseguire tutte le possibili richieste”. Gogna invita gli aspiranti gestori a fare esperienza sul campo prima di intraprendere questa professione, per capire se si è veramente portati per questo lavoro. Il futuro dei rifugi alpini è quindi nelle mani di chi saprà coniugare tradizione e innovazione, rispetto per l’ambiente e accoglienza, consapevolezza delle sfide del cambiamento climatico e capacità di adattamento alle nuove esigenze dei frequentatori della montagna. Il Bivacco Fiamme Gialle al MUSE è un simbolo di un passato che non deve essere dimenticato, ma anche uno stimolo a costruire un futuro sostenibile per queste preziose sentinelle delle nostre montagne.
Custodi del futuro: Un equilibrio tra progresso e tradizione
La trasformazione del Bivacco Fiamme Gialle in un’esposizione museale ci invita a riflettere sul ruolo dei rifugi alpini come custodi di un patrimonio culturale e naturale unico. In un’epoca segnata da rapidi cambiamenti e crescenti pressioni ambientali, è fondamentale trovare un equilibrio tra progresso tecnologico e rispetto per le tradizioni montane. I rifugi alpini possono continuare a essere luoghi di accoglienza, sicurezza e cultura, a condizione che si sappiano adattare alle nuove sfide e che si impegnino a promuovere pratiche di gestione sostenibile. La collaborazione tra enti pubblici, associazioni alpinistiche, gestori dei rifugi e comunità locali è essenziale per garantire un futuro prospero e rispettoso dell’ambiente per queste preziose sentinelle delle nostre montagne.
- Comunicato ufficiale del MUSE sull'acquisizione del bivacco, per approfondire il contesto museale.
- Indirizzo e contatti ufficiali della Scuola Alpina Guardia di Finanza di Predazzo.
- Pagina ufficiale del MUSE, per approfondire le esposizioni e le iniziative del museo.
- Storia del CAI Padova e del contributo alla costruzione dei rifugi.







