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- Nel 2018, la discesa con gli sci di Andrzej Bargiel dall'Everest ha riaperto il dibattito sull'etica dell'alpinismo e l'uso della tecnologia.
- Hervé Barmasse, nel 2017, ha rinunciato alla vetta dello Shishapangma per il pericolo di distacchi, evidenziando l'importanza della vita umana rispetto alla conquista.
- L'articolo sottolinea la necessità di un alpinismo più sostenibile e consapevole, che tenga conto dell'impatto ambientale e delle comunità locali, privilegiando l'esperienza alla performance.
La Sacralità dell’Everest è ancora negoziabile?
L’eco della critica di Messner
La discesa con gli sci di Andrzej Bargiel dalla cima dell’Everest ha riacceso un dibattito latente nel mondo dell’alpinismo, un dibattito che tocca corde profonde e interroga l’essenza stessa di questa disciplina. Reinhold Messner, figura iconica dell’alpinismo mondiale, non ha accolto con favore l’impresa, vedendo in essa una possibile violazione della sacralità che da sempre avvolge la montagna più alta del mondo. Un gesto atletico di indubbia audacia, certo, ma che per alcuni rischia di snaturare il significato intrinseco dell’alpinismo, trasformando una sfida interiore in una performance spettacolare. La questione, tuttavia, è ben più complessa di una semplice contrapposizione tra tradizione e modernità. L’alpinismo, come ogni attività umana, è in continua evoluzione, e l’avvento di nuove tecnologie apre scenari inediti, offrendo nuove opportunità ma anche sollevando interrogativi etici e sportivi. Si tratta, in definitiva, di capire se l’utilizzo di droni, sci sempre più performanti, ossigeno supplementare e altre innovazioni tecnologiche rappresenti un’evoluzione legittima dell’alpinismo o una forma di facilitazione che ne compromette l’autenticità. La critica di Messner, in questo senso, non va interpretata come un mero atto di conservatorismo, ma come un invito a riflettere sul futuro dell’alpinismo e sul rapporto che intercorre tra l’uomo e la montagna. Un rapporto che dovrebbe essere sempre improntato al rispetto, alla consapevolezza e alla ricerca di un equilibrio sostenibile tra ambizione sportiva e tutela dell’ambiente. La discesa di Bargiel ha avuto luogo nel 2018, e da allora il dibattito non si è mai sopito, alimentato da nuove imprese e nuove polemiche.
- 🚀 L'impresa di Bargiel è un'evoluzione naturale......
- ⛰️ Messner ha ragione, si sta perdendo la sacralità......
- 🤔 E se la vera sfida fosse un alpinismo etico...?...
Tecnologia e alpinismo: un confine labile
L’introduzione di tecnologie sempre più avanzate nell’alpinismo d’alta quota ha inevitabilmente modificato il modo di affrontare la montagna. I droni, ad esempio, permettono di effettuare ricognizioni preliminari, individuando percorsi più sicuri e valutando le condizioni del ghiaccio e della neve. Gli sci di ultima generazione consentono discese rapide e controllate anche su pendii estremamente ripidi. L’ossigeno supplementare, infine, permette di superare i limiti fisiologici dell’organismo umano, consentendo di raggiungere quote altrimenti inaccessibili. Ma fino a che punto è lecito spingersi nell’utilizzo di queste tecnologie? Qual è il limite oltre il quale l’alpinismo cessa di essere una sfida con se stessi e diventa una semplice esibizione di abilità atletiche e tecnologiche? La risposta a queste domande non è univoca e dipende dalla sensibilità e dalla visione del mondo di ogni singolo alpinista. Alcuni ritengono che l’utilizzo delle tecnologie sia un’evoluzione naturale dell’alpinismo, un modo per superare i propri limiti e raggiungere nuove vette. Altri, invece, sono convinti che l’alpinismo debba rimanere una sfida essenzialmente umana, un confronto diretto con la natura senza l’ausilio di artifici tecnologici. In questo secondo caso, l’utilizzo di tecnologie come l’ossigeno supplementare viene considerato una forma di doping, un modo per alterare le proprie prestazioni e falsare la competizione. La questione è ulteriormente complicata dal fatto che l’utilizzo delle tecnologie ha un impatto significativo sull’ambiente montano. I droni, ad esempio, possono disturbare la fauna selvatica e lasciare tracce evidenti sul paesaggio. L’ossigeno supplementare, una volta esaurito, viene spesso abbandonato in quota, contribuendo all’inquinamento delle montagne. Si tratta, dunque, di trovare un equilibrio tra l’ambizione di superare i propri limiti e la necessità di preservare l’integrità dell’ambiente montano. La discesa di Andrzej Bargiel è stata compiuta senza ossigeno supplementare, ma si è avvalsa di droni per la ricognizione e di sci di ultima generazione. La sua impresa ha sollevato un acceso dibattito proprio perché ha messo in discussione i confini tra alpinismo tradizionale e alpinismo moderno, tra sfida umana e performance tecnologica.

La sostenibilità dell’alpinismo
Hervé Barmasse, guida alpina e alpinista di fama internazionale, ha posto l’accento sulla sostenibilità dell’alpinismo, un tema sempre più urgente in un contesto di cambiamenti climatici e crescente pressione turistica sulle montagne. Barmasse invita a riflettere sulle conseguenze dell’alpinismo di massa, reso possibile dalle tecnologie moderne e dalla crescente accessibilità delle montagne. Un alpinismo che sempre più spesso trasforma le montagne in parchi giochi per turisti benestanti, con un impatto significativo sull’ambiente e sulle comunità locali. Barmasse sottolinea anche il ruolo delicato degli sherpa, che si espongono a rischi elevati per garantire il successo dei propri clienti, sollevando interrogativi sull’equità e la giustizia in questo contesto. L’alpinismo sostenibile, secondo Barmasse, è un alpinismo che rispetta l’ambiente, le culture locali e i limiti fisiologici dell’uomo. Un alpinismo che privilegia l’esperienza alla performance, la scoperta alla conquista, la collaborazione alla competizione. Si tratta di un approccio più lento e consapevole, che richiede una maggiore preparazione fisica e mentale, ma che offre anche una maggiore ricchezza interiore e una maggiore connessione con la natura. Barmasse ha compiuto numerose ascensioni in stile alpino, senza l’ausilio di ossigeno supplementare e senza il supporto di sherpa, dimostrando che è possibile affrontare le montagne più alte del mondo in modo sostenibile e rispettoso. Nel 2017, insieme a David Göttler, ha affrontato la parete Sud dello Shishapangma in stile alpino, rinunciando alla vetta a pochi metri dalla cima a causa del pericolo di distacco di una cornice. La sua scelta, seppur sofferta, dimostra che la vita umana ha sempre la priorità sulla conquista della vetta. Barmasse è anche un attivo sostenitore della tutela dell’ambiente montano, denunciando gli effetti dei cambiamenti climatici sulle Alpi e promuovendo un turismo più responsabile e consapevole. Il suo impegno lo ha portato a collaborare con diverse organizzazioni ambientaliste e a partecipare a numerose iniziative di sensibilizzazione. L’alpinismo sostenibile, in definitiva, è un alpinismo che guarda al futuro, un alpinismo che si preoccupa di preservare la bellezza e l’integrità delle montagne per le generazioni a venire.
Alpinismo: Un’Evoluzione etica necessaria
La storia dell’alpinismo è una storia di continua evoluzione, di sfide superate e di limiti spostati sempre più in alto. Ma questa evoluzione non può essere solo tecnica e atletica, deve essere anche etica. Il dibattito tra Messner e Bargiel, al di là delle posizioni individuali, ci invita a interrogarci sul futuro dell’alpinismo e sul nostro rapporto con la montagna. Un rapporto che non può essere ridotto a una semplice questione di performance, ma che deve tenere conto dei valori che da sempre hanno animato questa disciplina: il rispetto per la natura, la solidarietà tra compagni di cordata, la ricerca di un equilibrio interiore. L’alpinismo del futuro dovrà essere un alpinismo più consapevole, più sostenibile, più etico. Un alpinismo che sappia coniugare l’ambizione di superare i propri limiti con la necessità di preservare l’integrità dell’ambiente montano e la dignità delle persone che lo vivono. Un alpinismo che sappia trarre beneficio dalle nuove tecnologie, senza farsi dominare da esse. Un alpinismo che sappia guardare al passato, senza rimanere prigioniero di esso. L’alpinismo è un’attività complessa e multiforme, che non può essere ingabbiata in definizioni rigide e dogmatiche. Ogni alpinista ha il diritto di vivere la montagna a modo suo, nel rispetto delle regole e dei valori che da sempre caratterizzano questa disciplina. Ma è importante che ogni alpinista sia consapevole delle proprie responsabilità e che si interroghi sul significato profondo di ciò che fa. Solo così l’alpinismo potrà continuare a essere una fonte di ispirazione e di crescita personale, un’esperienza unica e irripetibile che arricchisce la vita di chi la pratica e che contribuisce a rendere il mondo un posto migliore. La montagna è un maestro severo ma giusto, che premia chi la rispetta e punisce chi la sfida con arroganza e presunzione. L’alpinismo è un’arte, una scienza, una filosofia. È un modo di vivere, di pensare, di sentire. È un’esperienza che trasforma l’uomo e che lo avvicina alla natura.
Ecco, riflettendo su questo tema complesso, è fondamentale comprendere che l’alpinismo non è solo una questione di raggiungere la vetta, ma anche e soprattutto di come si arriva lassù. Una nozione base per chiunque si avvicini a questo mondo è che lo stile e l’etica contano tanto quanto il risultato. E, per una comprensione più avanzata, si potrebbe considerare come le scelte individuali degli alpinisti si riflettano sull’ambiente e sulle comunità locali, influenzando la sostenibilità dell’intera attività.
Spero che queste riflessioni possano stimolare una riflessione personale sull’importanza di un alpinismo consapevole e responsabile, che sappia coniugare l’ambizione di superare i propri limiti con il rispetto per la natura e per gli altri.