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Audacia vs. errore: la scalata di Scholes al Makalu riaccende il dibattito sull’etica dell’alpinismo

L'ascensione di Matthews Scholes al Makalu, segnata da un errore quasi fatale, solleva interrogativi cruciali sui limiti dell'ambizione e la responsabilità individuale nell'alpinismo estremo.
  • L'ascensione di Matthews Scholes al Makalu, montagna di 8.485 metri, ha riaperto il dibattito sull'etica dell'alpinismo estremo.
  • Scholes, alpinista di 36 anni, ha subito congelamenti a otto dita dei piedi a causa di una negligenza durante la discesa.
  • Nel 2022 Scholes aveva conquistato la parete ovest del Changabang, a dimostrazione della sua preparazione, ma «la montagna non perdona».

La recente ascensione di Matthews Scholes al Makalu, la quinta montagna più alta del mondo con i suoi 8.485 metri, ha riacceso un dibattito cruciale all’interno della comunità alpinistica: il delicato equilibrio tra audacia, responsabilità e preparazione nell’alpinismo estremo. L’impresa di Scholes, caratterizzata da una scalata in solitaria e senza l’ausilio di ossigeno supplementare, è stata offuscata da un errore che ha messo a repentaglio la sua incolumità, sollevando interrogativi sull’etica di tali imprese e sui limiti dell’ambizione personale.

L’ascensione di matthews scholes e l’insidia della discesa

Matthews Scholes, un alpinista australiano di 36 anni, ha intrapreso la scalata del Makalu con un approccio minimalista, scegliendo di affrontare la montagna in solitaria e senza l’ausilio di ossigeno supplementare. Questa scelta, pur esaltando le sue capacità fisiche e mentali, ha comportato un aumento esponenziale dei rischi. La sua esperienza pregressa, coronata dalla conquista della parete ovest del Changabang nel 2022, testimoniava la sua preparazione e il suo coraggio. Tuttavia, la montagna non perdona, e anche l’alpinista più esperto può incappare in errori fatali.

L’ascensione si è svolta senza intoppi significativi fino al raggiungimento della vetta. La vera sfida, come spesso accade in alpinismo, si è presentata durante la discesa. La fatica accumulata, unita alle difficoltà tecniche del percorso, ha compromesso la lucidità di Scholes, portandolo a commettere un errore che si è rivelato determinante: una volta raggiunto il campo 4, esausto dopo 23 ore di scalata ininterrotta, si è addormentato senza togliersi gli scarponi. Questa negligenza ha avuto conseguenze immediate: il gelo ha iniziato a danneggiare le dita dei suoi piedi, causando congelamenti che avrebbero potuto avere esiti ben più gravi.

Al suo risveglio, Scholes si è trovato di fronte a una situazione critica. Nonostante il dolore e la consapevolezza del pericolo, ha intrapreso la discesa verso il campo base avanzato, dove ha ricevuto le prime cure. Successivamente, è stato trasportato in elicottero a Kathmandu, dove i medici hanno constatato la presenza di congelamenti in otto dita dei piedi, fortunatamente non in uno stadio avanzato. L’episodio ha sollevato un’ondata di reazioni all’interno della comunità alpinistica, riaprendo il dibattito sull’etica dell’alpinismo estremo e sulla responsabilità individuale.

Cosa ne pensi?
  • Scholes ha dimostrato grande coraggio e determinazione... 👏...
  • L'errore di Scholes mette in luce i rischi... ⚠️...
  • L'alpinismo estremo: una sfida personale o egoismo... 🤔...

Etica dell’alpinismo estremo: un confine labile

L’alpinismo estremo, per sua stessa natura, si colloca in una zona grigia, dove il confine tra audacia e incoscienza è spesso labile. La ricerca della performance, la sfida ai propri limiti e la volontà di superare ostacoli sempre più ardui spingono gli alpinisti a intraprendere imprese che comportano rischi elevati. Tuttavia, è fondamentale interrogarsi sui limiti di questa spinta, valutando attentamente le conseguenze delle proprie azioni e il potenziale impatto sull’ambiente e sulla comunità.

Il dibattito sull’etica dell’alpinismo si articola attorno a diversi punti chiave. Innanzitutto, la questione della responsabilità individuale: ogni alpinista deve essere consapevole dei rischi che si assume e deve essere in grado di prendere decisioni autonome e ponderate, rinunciando all’ascensione se le condizioni non sono favorevoli. In secondo luogo, il ruolo delle guide alpine e delle agenzie di spedizione: questi professionisti hanno il compito di fornire supporto, assistenza e informazioni agli alpinisti, ma non possono sostituirsi alla loro capacità di giudizio e alla loro responsabilità personale. Infine, la questione del soccorso: in caso di incidente, chi deve farsi carico dei costi e delle responsabilità del salvataggio? È giusto che la comunità si faccia carico delle conseguenze di scelte individuali azzardate?

L’alpinismo moderno, sempre più orientato alla performance e alla spettacolarizzazione, rischia di smarrire i suoi valori fondamentali: il rispetto per la montagna, la solidarietà tra alpinisti e la consapevolezza dei propri limiti. La ricerca della fama e del successo a tutti i costi può spingere gli alpinisti a intraprendere imprese che superano le loro capacità, mettendo a repentaglio la propria vita e quella degli altri. Come affermava Cesare Maestri, figura controversa ma iconica dell’alpinismo italiano, “l’alpinista più grande è quello che torna vivo“. Una frase che, nella sua semplicità, racchiude una profonda verità: la montagna non è un terreno di conquista, ma un ambiente da rispettare e proteggere.

Le riflessioni di Mariapia Ghedina, psicologa dello sport e volontaria del soccorso alpino, offrono un’ulteriore prospettiva sul tema. Secondo Ghedina, la montagna ha la capacità di “tagliare il superfluo” e di farci riscoprire i valori essenziali della vita. In un mondo sempre più frenetico e consumistico, l’alpinismo può rappresentare un’occasione per ritrovare un contatto autentico con la natura e con noi stessi, riscoprendo il valore della lentezza, della fatica e della condivisione.

Il ruolo delle guide alpine e delle agenzie di spedizione

Le guide alpine e le agenzie di spedizione svolgono un ruolo cruciale nell’alpinismo moderno, fungendo da intermediari tra gli alpinisti e la montagna. Le guide alpine, professionisti esperti e qualificati, hanno il compito di accompagnare gli alpinisti lungo i percorsi, fornendo loro assistenza tecnica, supporto logistico e informazioni utili per affrontare le difficoltà del percorso. Le agenzie di spedizione, dal canto loro, si occupano dell’organizzazione complessiva delle spedizioni, fornendo agli alpinisti il materiale necessario, il supporto medico e logistico e la gestione delle comunicazioni.

Tuttavia, è fondamentale sottolineare che le guide alpine e le agenzie di spedizione non possono sostituirsi alla responsabilità individuale degli alpinisti. La decisione finale spetta sempre all’alpinista, che deve essere consapevole dei rischi che si assume e deve essere in grado di prendere decisioni autonome e ponderate. Le guide alpine e le agenzie di spedizione possono fornire supporto e assistenza, ma non possono garantire la sicurezza assoluta. L’alpinismo è un’attività intrinsecamente rischiosa, e ogni alpinista deve essere consapevole di questa realtà.

Negli ultimi anni, si è assistito a una crescente commercializzazione dell’alpinismo, con un aumento del numero di spedizioni organizzate e una diminuzione del livello di preparazione degli alpinisti. Questo fenomeno ha sollevato preoccupazioni sull’etica delle agenzie di spedizione, che spesso privilegiano il profitto alla sicurezza. È fondamentale che le agenzie di spedizione si assumano la responsabilità di selezionare alpinisti adeguatamente preparati e di garantire il rispetto dell’ambiente e delle comunità locali. L’alpinismo non può essere ridotto a un mero prodotto commerciale, ma deve essere vissuto come un’esperienza autentica e rispettosa della montagna.

Il 7 aprile 2021 il Soccorso Alpino e Speleologico del Friuli Venezia Giulia ha presentato i finalisti e il vincitore della prima edizione dell’iniziativa “Ti racconto il mio soccorso”, un concorso volto a raccogliere testimonianze di persone soccorse in montagna. L’iniziativa ha portato alla luce storie emozionanti di uomini e donne che si sono trovati in difficoltà praticando escursionismo, parapendio, scalate su roccia, cascate di ghiaccio e discese in grotta. Queste testimonianze, spesso drammatiche, ci ricordano l’importanza di affrontare la montagna con rispetto e consapevolezza, e di non sottovalutare mai i pericoli che si celano dietro un’apparente tranquillità.

Quali lezioni dall’accaduto per il futuro dell’alpinismo?

La vicenda di Matthews Scholes sul Makalu offre importanti spunti di riflessione per il futuro dell’alpinismo. Innanzitutto, è fondamentale promuovere una cultura della responsabilità e della consapevolezza, sensibilizzando gli alpinisti sui rischi che si assumono e sull’importanza di una preparazione adeguata. In secondo luogo, è necessario rafforzare il ruolo delle guide alpine e delle agenzie di spedizione, garantendo che questi professionisti operino nel rispetto dell’etica e della sicurezza. Infine, è importante promuovere un alpinismo sostenibile, che rispetti l’ambiente e le comunità locali, evitando la commercializzazione e la spettacolarizzazione eccessiva.

L’alpinismo è una disciplina che richiede umiltà, rispetto e preparazione. Non è un’attività per tutti, e non deve essere ridotta a una mera competizione o a una ricerca di adrenalina. La montagna è un ambiente severo e imprevedibile, che richiede un approccio ponderato e consapevole. Gli alpinisti devono essere consapevoli dei propri limiti e devono essere in grado di rinunciare all’ascensione se le condizioni non sono favorevoli. La sicurezza deve essere sempre al primo posto, e nessun obiettivo deve giustificare la messa a repentaglio della propria vita e di quella degli altri. Il futuro dell’alpinismo dipende dalla capacità di coniugare l’audacia con la responsabilità, l’ambizione personale con il rispetto per la montagna e per la vita umana.

Riflessioni conclusive: oltre l’impresa, la persona

La storia di Scholes ci ricorda che dietro ogni impresa alpinistica, dietro ogni record o conquista, c’è innanzitutto una persona. Con le sue fragilità, i suoi dubbi, le sue paure, ma anche con la sua incredibile forza di volontà e la sua passione per la montagna. Spesso, presi dall’ammirazione per le gesta eroiche, tendiamo a dimenticare questo aspetto fondamentale. Ci concentriamo sul risultato, sull’exploit, sulla difficoltà superata, tralasciando il lato umano, l’esperienza interiore, il percorso che ha portato l’alpinista a intraprendere quella determinata sfida.

Ed è proprio qui, a mio avviso, che risiede il vero valore dell’alpinismo: nella capacità di metterci di fronte ai nostri limiti, di farci confrontare con le nostre paure, di spingerci oltre le nostre zone di comfort. Di farci sentire parte di qualcosa di più grande, di un ambiente naturale che ci sovrasta e ci invita all’umiltà. L’alpinismo, in fondo, è un viaggio interiore, un percorso di crescita personale che va ben oltre la semplice conquista di una vetta.

Una nozione base nel mondo dell’alpinismo è che la preparazione fisica e mentale sono imprescindibili per affrontare qualsiasi tipo di ascensione. Non si tratta solo di allenare il corpo, ma anche di conoscere i propri limiti, di saper gestire le emozioni e di prendere decisioni ponderate in situazioni di stress. Una nozione avanzata, invece, riguarda la capacità di adattarsi alle condizioni ambientali e di rinunciare all’obiettivo se necessario. L’alpinismo non è una competizione, ma un’esperienza che deve essere vissuta con rispetto e consapevolezza.

Cosa ne pensi tu? Ti sei mai trovato di fronte a una sfida che ti ha messo a dura prova? Quali sono stati i tuoi limiti? E come li hai superati?


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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