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- La Cop30 si è conclusa senza un accordo vincolante sull'eliminazione graduale dei combustibili fossili, a causa dell'opposizione di paesi come Iran, Russia, Arabia Saudita e Stati Uniti. La «Belém Mission to 1.5» è stata considerata insufficiente per affrontare la gravità della crisi climatica.
- Il Green Deal europeo rischia di trasformarsi in una cattedrale senza muri, con un accordo per ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 pieno di compensazioni e deroghe. L'Europa si impone vincoli severi mentre altri grandi attori globali arretrano o dettano regole proprie.
- La Cop30 è stata segnata da problemi logistici e costi inaccessibili, scoraggiando la partecipazione di molte delegazioni dal Sud del mondo. L'aumento dei prezzi degli alloggi ha reso impossibile per molte ong amazzoniche partecipare all'evento, sollevando dubbi sulla reale inclusività della conferenza.
La recente COP30 di Belém, in Brasile, si è conclusa con un risultato che molti osservatori definiscono deludente. Nonostante le grandi aspettative e la retorica ambiziosa, l’evento non è riuscito a produrre un accordo concreto sull’abbandono dei combustibili fossili, lasciando irrisolte questioni cruciali per la lotta al cambiamento climatico.
Un Accordo Debole e Compromessi Inefficaci
L’esito della COP30 ha evidenziato, ancora una volta, le difficoltà nel raggiungere un consenso globale su temi così delicati. Il documento finale, pur esprimendo preoccupazione per lo stato del clima, non contiene impegni vincolanti sull’eliminazione graduale di carbone, petrolio e gas. Questa mancanza di ambizione è dovuta, in gran parte, all’opposizione di Paesi produttori di combustibili fossili come Iran, Russia, Arabia Saudita e, sorprendentemente, anche gli Stati Uniti.
La presidenza brasiliana ha tentato di mitigare questa situazione introducendo iniziative volontarie per accelerare l’attuazione degli impegni nazionali e colmare il divario tra dichiarazioni e azioni concrete. La “Belém Mission to 1.5” *fu ideata come uno strumento per assistere governi e tecnici nel concretizzare gli impegni di riduzione delle emissioni. Tuttavia, molti ritengono che queste misure siano insufficienti per affrontare la gravità della crisi climatica.
La priorità sembra essere stata quella di salvare il principio di un accordo globale, anche a costo di comprometterne la sostanza. Questo approccio, sebbene comprensibile, rischia di penalizzare soprattutto i Paesi del Sud del mondo, già duramente colpiti dagli impatti del cambiamento climatico.

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Il Green Deal Europeo: Un Sogno Infranto?
La situazione globale si riflette anche in Europa, dove il Green Deal, annunciato nel 2019 come una rivoluzione industriale verde, rischia di trasformarsi in una cattedrale senza muri. L’accordo raggiunto tra i ministri europei per ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 è pieno di compensazioni, deroghe e clausole di revisione, che ne diluiscono l’ambizione originale.
L’Europa, nel tentativo di essere un modello globale, si impone vincoli severi alla propria industria, mentre altri grandi attori globali, come Stati Uniti, Cina e India, arretrano o dettano regole proprie. Questo crea un paradosso: l’Europa rischia di penalizzare la propria economia senza ottenere un reale impatto sul clima globale.
Il Green Deal avrebbe dovuto fungere da trait d’union tra le aspirazioni ecologiche e la competitività industriale, ma è rimasto incompiuto. Non è stata edificata un’industria delle tecnologie pulite in grado di conferire all’Europa un ruolo di primo piano; non sono stati stanziati fondi sufficienti a supportare la transizione; e i meccanismi che determinano i prezzi dell’energia non sono stati rivisti.
La COP30 del Popolo che Esclude il Popolo
La scelta di Belém come sede della COP30 avrebbe dovuto rappresentare un gesto politico forte, riconoscendo il ruolo cruciale delle regioni periferiche e dei popoli indigeni nella lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, la conferenza è stata segnata da problemi logistici e costi inaccessibili, che hanno scoraggiato la partecipazione di molte delegazioni provenienti dal Sud del mondo.
L’aumento vertiginoso dei prezzi degli alloggi ha reso impossibile per molte ONG amazzoniche, delegazioni insulari e redazioni indipendenti partecipare all’evento. Questo ha sollevato dubbi sulla reale inclusività della COP30, che rischia di trasformarsi nella più esclusiva di sempre.
Dietro le difficoltà logistiche si cela una questione più profonda: il colonialismo interno che relega l’Amazzonia a una posizione marginale nelle gerarchie economiche e politiche brasiliane. La scelta di Belém avrebbe potuto alterare questa dinamica di potere, ma il dibattito pubblico si è invece focalizzato sulla “città inadeguata”, riattivando il preconcetto che una metropoli amazzonica non possa ospitare un vertice internazionale.
Un Barlume di Speranza: La Necessità di un Cambio di Passo
Nonostante le delusioni, la COP30 ha offerto anche alcuni segnali incoraggianti. Il ritorno della conferenza in una democrazia, dopo tre edizioni in Paesi con libertà di espressione limitata, ha permesso alla società civile di esprimersi liberamente. Inoltre, il Brasile ha annunciato lo stanziamento di un miliardo di dollari nel fondo internazionale per le foreste, un passo importante per incentivare la lotta alla deforestazione.
Tuttavia, è necessario un cambio di passo radicale per affrontare efficacemente la crisi climatica. L’Europa deve smettere di confondere il disegno con la costruzione e adottare una visione industriale che metta insieme ambiente, economia e società. Non basta firmare accordi ambiziosi: servono mani, materiali, capitale e fiducia.
È cruciale riconoscere che la sostenibilità non è un concetto monolitico: oltre a quella ambientale, esistono la sostenibilità economica e quella sociale. A cosa serve ridurre drasticamente le emissioni se contemporaneamente si annientano intere filiere produttive? Che significato ha proclamarsi paladini del clima se aumentano i posti di lavoro a rischio e si accentua la dipendenza tecnologica dalla Cina?
Oltre la Retorica: Un Futuro Sostenibile è Possibile
La COP30 di Belém ha dimostrato, ancora una volta, che la strada verso un futuro sostenibile è lastricata di ostacoli e compromessi. Tuttavia, non dobbiamo cedere al pessimismo. La crisi climatica è una sfida complessa, ma non insormontabile.
Per superare le difficoltà attuali, è necessario un approccio più pragmatico e realista. Dobbiamo smetterla di inseguire obiettivi irraggiungibili e concentrarci su soluzioni concrete e fattibili. Dobbiamo abbandonare la retorica e passare all’azione.
È fondamentale che l’Europa assuma un ruolo di leadership nella transizione ecologica, investendo in tecnologie pulite, sostenendo le imprese che si impegnano per la sostenibilità e promuovendo un modello di sviluppo che rispetti l’ambiente e le persone.*
_È necessario che i Paesi del Sud del mondo siano coinvolti attivamente nel processo decisionale, garantendo loro un accesso equo alle risorse e alle tecnologie necessarie per affrontare il cambiamento climatico._
È indispensabile che la società civile, le imprese e i governi collaborino per trovare soluzioni innovative e sostenibili. Solo attraverso un impegno collettivo potremo costruire un futuro migliore per tutti.
Amici appassionati di montagna e alpinismo, riflettiamo un attimo. La COP30 ci ha mostrato quanto sia difficile raggiungere accordi globali sul clima, ma la montagna, con i suoi ghiacciai che si ritirano e i suoi ecosistemi fragili, ci ricorda ogni giorno l’urgenza di agire.
Una nozione base di notizie e approfondimenti su montagna e alpinismo è che il cambiamento climatico sta accelerando la fusione dei ghiacciai alpini, mettendo a rischio l’approvvigionamento idrico e la stabilità dei versanti montuosi. Una nozione più avanzata è che l’adattamento al cambiamento climatico in montagna richiede una gestione integrata del territorio, che tenga conto degli aspetti ambientali, economici e sociali.
Forse, la vera sfida è quella di trasformare la consapevolezza in azione, di passare dalle parole ai fatti. Forse, è il momento di smettere di aspettare che “qualcuno” faccia qualcosa e di iniziare a fare la nostra parte, nel nostro piccolo, per proteggere il nostro pianeta e le nostre montagne.







