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Traumi in montagna? «Oltre la vetta» del CAI offre supporto psicologico

Scopri come il Club Alpino Italiano si impegna a fornire assistenza psicologica agli alpinisti colpiti da eventi traumatici, con un portale online, video-podcast e la collaborazione di esperti.
  • Il Club Alpino Italiano (CAI) ha lanciato il progetto «Oltre la vetta» per offrire supporto psicologico ai soci, a seguito di lutti, incidenti e altre esperienze estreme in montagna.
  • Il progetto, presentato il 15 novembre 2025 durante l'Italian Outdoor Festival, include un portale online con risorse informative e un video-podcast mensile guidato da Sofia Farina.
  • Uno studio del Club Alpino Svizzero (SAC) ha rilevato che il 65% delle guide alpine in Svizzera ha sperimentato o osservato eventi traumatici, e che il 40% delle persone completamente sepolte da valanghe sviluppa Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS).

Il mondo dell’alpinismo, intriso di sfide e conquiste, si confronta con una realtà spesso celata: l’impatto psicologico di eventi traumatici vissuti in alta quota. In risposta a questa esigenza, il Club Alpino Italiano (CAI) ha varato il progetto “Oltre la vetta”, un’iniziativa pensata per offrire supporto psicologico ai propri soci, riconoscendo la profonda influenza che lutti, incidenti e altre esperienze estreme possono avere sulla psiche degli alpinisti. Questo progetto si propone di tessere una rete di sostegno che coinvolga alpinisti, guide alpine, soccorritori, psicologi e familiari, fornendo strumenti concreti per affrontare il dolore e superare il trauma. L’iniziativa, presentata il 15 novembre 2025 a Milano durante l’Italian Outdoor Festival, mira a creare un ambiente di ascolto e supporto collettivo, dove il lutto vicario e cumulativo sono riconosciuti come aspetti rilevanti e meritevoli di attenzione. È stato lanciato un portale online specificamente concepito, che mette a disposizione risorse informative, racconti personali e un elenco di psicologi esperti. Parallelamente, è stato lanciato un video-podcast mensile, guidato da Sofia Farina, che esplora storie di resilienza e perdita in montagna. La sezione inaugurale include la commovente narrazione di Marina Consolaro, madre di Matteo Pasquetto, giovane alpinista scomparso sul Monte Bianco nel 2020. Dalla sua esperienza di dolore è scaturita la creazione del Fondo Casa Matteo Varese, un’iniziativa dedicata agli scalatori più giovani. Il Presidente generale del CAI, Antonio Montani, ha definito “Oltre la vetta” come un’azione di solidarietà sociale per coloro che soffrono, sottolineando l’importanza di creare una rete di assistenza per le vittime di traumi. La collaborazione con l’associazione Psicologi per i Popoli (PsP) è cruciale, con PsP responsabile della selezione e formazione degli esperti che forniranno il supporto psicologico. Donatella Galliano, presidente di PsP, ha affermato che il progetto riconosce l’impatto psicologico degli incidenti in montagna. Il programma sottolinea altresì la funzione curativa dell’ambiente montano. La connessione con l’ambiente naturale, la quiete interiore, l’attività fisica e le pratiche rituali cariche di significato offrono a coloro che hanno subito una perdita la possibilità di ricreare un rapporto significativo non solo con il proprio corpo ma anche con le proprie emozioni e con il ricordo della persona che è venuta a mancare.

La montagna e la mente: le sfide psicologiche dell’alpinismo

Il panorama montano con le sue insidie rappresenta una sfida significativa per la mente umana. Gli sforzi fisici richiesti dall’ascensione sono accompagnati dalla paura dell’insuccesso, dall’incapacità di dominare gli elementi naturali circostanti o da sensazioni disorientanti dovute all’altitudine; tutte condizioni in grado di alimentare livelli elevati di stress e ansia. Secondo quanto riportato nell’articolo elaborato dal Club Alpino Svizzero (SAC), è emerso che un inquietante 65% delle guide alpine in Svizzera ha sperimentato o osservato eventi traumatici nel corso della propria carriera. Negli incidenti provocati dalle valanghe emerge inoltre che ben il 40% delle persone interamente sepolte e il 20% dei parzialmente sepolti soffre poi dello sviluppo di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS). Questi dati fungono da monito circa la necessità vitale sia per una sensibilizzazione ad hoc sia per provvedimenti mirati nel supporto psicologico degli alpinisti praticanti. Il SAC rimarca ulteriormente che gli effetti devastanti del DPTS non si limitano alle sole vittime; anche i soccorritori e i testimoni possono manifestare questo disturbo mentale post-incidentale. I segnali comuni vanno dai flashback agli incubi fino a stati d’animo disorientanti come apatia emotiva e nervosismo accresciuto nonché difficoltà nei cicli naturali del sonno. La trascuratezza nella gestione del Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) potrebbe condurre a una progressiva cronicizzazione della condizione medesima, nonché incrementare la suscettibilità a ulteriori patologie fisiche associate. Roberta Bommassar, presidente dell’ordine degli psicologi nel Trentino, ha messo in evidenza come l’ambiente montano possa presentare diverse sfide psicologiche, legate all’affaticamento e al timore durante le ascese; ciò assume una rilevanza particolare nella delineazione delle strategie preventive da adottare sul campo stesso. Bommassar invita dunque a prediligere itinerari congrui alle capacità personali per mitigare i rischi potenziali collegati agli affronti emotivi nel corso dell’attività outdoor. Qualora si verificasse un attacco d’ansia acuta, suggerisce cautamente la necessità di ricercare riparo in uno spazio protetto per focalizzarsi sulla respirazione consapevole. Un elemento essenziale rimane rappresentato dalla condivisione: scambiare impressioni ed esperienze vissute con altri scalatori permette non solo una rielaborazione del trauma subito ma anche il sentimento condiviso della solitudine attenuato. Paradossalmente, la montagna potrebbe configurarsi come uno spazio terapeutico: attraverso l’immersione nella natura incontaminata, insieme all’abbraccio del silenzio totale o dei benefici apportati dall’esercizio fisico regolare, è possibile contribuire positivamente al proprio benessere psichico. Tuttavia, l’autentica sfida consiste nel trasformarli in occasioni propizie per accrescere se stessi dopo esperienze traumatiche.

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  • Davvero necessario? Non credo che la montagna debba......
  • La montagna come terapia? Un punto di vista interessante che apre a......

Strategie per superare il trauma e ritrovare la vetta

Affrontare un trauma vissuto durante un’escursione montana implica l’adozione di una strategia complessa che integra supporto psicologico, tecniche efficaci per gestire lo stress e una reintroduzione graduale all’alpinismo stesso. Il primo passo cruciale consiste nell’identificare e accettare la propria esperienza traumatica senza ricorrere alla negazione o alla minimizzazione degli eventi vissuti. Richiedere assistenza da professionisti esperti si rivela essenziale: uno specialista nel trattamento dei traumi offre non solo competenze, ma anche metodologie specifiche per affrontarne gli effetti duraturi, come quelli associati al Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS). Tra le modalità terapeutiche più valide vi sono sicuramente l’EMDR – acronimo per “Eye Movement Desensitization and Reprocessing” – così come la terapia cognitivo-comportamentale, entrambe strumentali nella diminuzione dell’ansia acuta oltre ai frequenti flashback notturni o incubi inquietanti. Attività come pratiche respiratorie profonde unite alla meditazione e allo yoga possono risultare fondamentali per lenire tensioni interiori migliorando così il benessere psico-fisico complessivo; pertanto, creare una consueta quotidianità arricchita da momenti gratificanti diventa imprescindibile. Infine, qualsiasi rientro nelle attività alpine va strutturato con cautela: è consigliabile partire con passeggiate semplici, accompagnati da persone su cui si può contare affidabilmente, piuttosto che ripetere immediatamente situazioni similari a quelle dal contenuto traumatico. Prendersi cura del proprio corpo implica anche comprendere i propri limiti interiori. È essenziale non precipitarsi nel riprendere attività fisica quando persistono sentimenti d’ansia o paura. Sebbene le montagne possano rivelarsi uno spazio terapeutico, occorre procedere sempre con cautela e consapevolezza. L’adesione a gruppi di sostegno oppure l’incontro con altre comunità alpinistiche possono ridurre il senso d’isolamento personale; infatti condividere esperienze passa attraverso l’ascolto dei racconti altrui che hanno affrontato prove simili – questa modalità riesce spesso ad alimentare sia speranza che motivazione. Convertire il proprio dolore in iniziative positive, come ad esempio pratiche volontarie o appoggiare cause umanitarie, infonde una dimensione ulteriore alla propria esistenza, generando un sensato scopo oltre alle esperienze vissute. Infine, la resilienza rappresenta quella qualità necessaria per recuperare da una caduta: affrontare opportunità sfidanti nelle terre alte diventa quindi possibile grazie ad adeguati supporti esterni e metodologie efficaci; si potrà ritrovare così quell’entusiasmo per l’alpinismo necessario a riconfrontarci coraggiosamente con le imponenti vette naturali.

Un passo avanti per la salute mentale in montagna

L’iniziativa “Oltre la vetta” rappresenta un importante passo avanti per la promozione della salute mentale nel mondo dell’alpinismo. Il CAI, con questa iniziativa, dimostra di essere un’organizzazione sensibile alle esigenze dei propri soci, riconoscendo l’importanza di affrontare le conseguenze emotive degli eventi traumatici. Il progetto può contribuire a ridurre lo stigma associato ai problemi di salute mentale e a promuovere una cultura della sicurezza e del benessere psicologico in montagna. L’esempio del CAI potrebbe ispirare altre organizzazioni e club alpini a implementare iniziative simili. La creazione di una rete di supporto psicologico per alpinisti può fare la differenza nella vita di molte persone, aiutandole a superare i traumi e a ritrovare la gioia di vivere la montagna. È importante che gli alpinisti siano consapevoli dei rischi psicologici associati all’attività e che sappiano a chi rivolgersi in caso di bisogno. La prevenzione è fondamentale. Partecipare a corsi di formazione sulla gestione dello stress e sulla sicurezza in montagna può aiutare a ridurre il rischio di incidenti e di traumi. L’alpinismo rappresenta senza dubbio una pratica affascinante; tuttavia, è fondamentale intraprenderla con consapevolezza e responsabilità, dedicando attenzione sia al benessere fisico che a quello psicologico. In questo contesto si colloca l’iniziativa promossa dal CAI: essa costituisce un simbolo di ottimismo per l’avvenire dell’alpinismo stesso, dove la salute mentale si pone come elemento essenziale da tutelare e valorizzare.

Riflessioni conclusive

Amici della montagna, “Oltre la vetta” è più di un progetto: è un gesto di umanità. Affrontare la montagna significa confrontarsi con i propri limiti, ma anche con la fragilità della vita. Sapere che c’è un sostegno pronto ad accoglierci, in caso di difficoltà, è un conforto inestimabile.
Nozione base di alpinismo e montagna: La “cordata” non è solo un legame fisico, ma anche un simbolo di solidarietà e fiducia reciproca.

Nozione avanzata di alpinismo e montagna: L’etica dell’alpinismo moderno pone l’accento sulla “rinuncia consapevole”, ovvero la capacità di saper tornare indietro di fronte a condizioni avverse, privilegiando la sicurezza propria e degli altri.

Vi invito a riflettere: la montagna ci mette di fronte alla nostra vulnerabilità, ma ci offre anche l’opportunità di scoprire la nostra resilienza. Accettare le proprie fragilità e chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma di grande forza interiore.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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