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- Il gatto di Pallas è stato avvistato nell'Arunachal Pradesh a quasi 5.000 metri di altitudine, grazie a un progetto con 136 fototrappole.
- Oltre al gatto di Pallas, sono stati registrati il leopardo comune a 4.600 metri, il leopardo nebuloso a 4.650 metri, il gatto marmorizzato a 4.313 metri e la civetta himalayana a 4.500 metri.
- Analisi genetiche di escrementi sull'Everest, prelevati oltre i 5.000 metri, hanno confermato la presenza del gatto di Pallas e rivelato che si nutre principalmente di pika e, occasionalmente, di donnole degli Altai.
Il Gatto di Pallas e Altri Felini d’Alta Quota
L’Himalaya si erge maestoso, offrendo scenari incredibili e nascondendo tesori di biodiversità che continuano a lasciare il segno. Di recente sono emerse straordinarie scoperte relative al gatto di Pallas (Otocolobus manul) che ha dimostrato la propria presenza a altitudini sorprendenti, suggerendo nuove possibilità per quanto riguarda la vita nelle regioni montane elevate. Tali rivelazioni non soltanto arricchiscono la nostra comprensione riguardo alla distribuzione di questo elusivo felino, bensì evidenziano l’imperativo assoluto della conservazione, essenziale per mantenere integri gli ecosistemi delicati in cui esso risiede.
La Prima Immagine del Gatto di Pallas nell’Arunachal Pradesh
Dal mese di luglio fino alla fine di settembre del prossimo anno (2024), si è realizzata una notevole sinergia tra WWF-India e il Dipartimento Forestale dell’Arunachal Pradesh che ha condotto all’installazione complessiva di 136 fototrappole, distribuite su ben 83 diverse postazioni. L’area interessata da questa iniziativa supera i 2.000 km quadrati, includendo i distretti situati nei pressi della West Kameng e Tawang. Questo importante programma d’indagine ecologica è durato otto mesi e ha prodotto la straordinaria cattura della prima immagine del gatto di Pallas proprio nell’Arunachal Pradesh: tale animale è stato immortalato ad un’altitudine prossima ai 5.000 metri. In precedenza, questo felino era noto solo grazie agli avvistamenti effettuati in Sikkim, Bhutan o nel Nepal orientale.
Non ci siamo però fermati qui: anche altre scoperte sorprendenti sono emerse dal lavoro delle fototrappole installate sul territorio! Infatti, sono state documentate presenze inattese come quella del leopardo comune rilevata ad altezze intorno ai 4.600 metri; seguita dal leopardo nebuloso individuato ancor più in alto – precisamente 4.650 metri; aggiungendosi al già menzionato gatto marmorizzato attorno ai 4.313 metri, unitamente alla civetta himalayana rinvenuta a 4.500 metri; infine, ma non meno insignificante, arriva anche lo scoiattolo volante rigorosamente registrato. Queste rivelazioni costituiscono record strabilianti riguardanti altitudini per tali esemplari sul suolo indiano, servendo così da testimonianza vivente della notevole biodiversità tipica del nostro prezioso ecosistema montano.

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La Scoperta sull’Everest: Il Gatto di Pallas “Grazie alla Cacca”
Un’importante rivelazione riguarda l’habitat del gatto di Pallas, situato sulle impervie pendici del Monte Everest. Durante una missione condotta nel 2019 dalla Wildlife Conservation Society, sono stati estratti campioni ambientali – compresi escrementi – a quote superiori ai 5.000 metri. I successivi test genetici su tali campioni hanno confermato non solo la presenza dei gatti di Pallas in Nepal ma hanno anche offerto spunti sulla loro alimentazione: prevalentemente costituita da pika con sporadiche catture delle donnole degli Altai.
Questa evidenza riveste un’importanza straordinaria perché amplia il territorio noto per questa specie e sottolinea le sue straordinarie doti adattative nell’affrontare condizioni così avverse. Inoltre, pone questioni rilevanti riguardo alla protezione della specie in un contesto dove l’afflusso turistico è destinato ad aumentare costantemente.
Implicazioni per la Conservazione e la Gestione del Turismo
La presenza della specie vulnerabile conosciuta come gatto di Pallas, così come quella di altre creature delicate nelle altitudini elevate, presenta notevoli difficoltà nel campo della conservazione ambientale. Il crescente flusso turistico sull’Everest, insieme ad altri contesti montuosi, rischia infatti di imporre un danno provocato dall’uomo, capace di influenzare negativamente le comunità faunistiche locali. In questa direzione, è stato messo in evidenza dalla dottoressa Tracie Seimon quanto sia cruciale ampliare le conoscenze relative alla biodiversità presente in tali luoghi emblematici; al contempo, vari specialisti hanno proposto restrizioni sul numero massimo consentito dei visitatori e il divieto d’accesso ad alcune zone specifiche al fine primario della salvaguardia della fauna selvatica.
Parallelamente ai problemi derivanti dall’afflusso turistico incessante si erge la problematica della biodiversità climatologica. Infatti, lo scomparire progressivo dei ghiacci e delle nevi permanenti contribuisce all’alterazione degli habitat vitali alle prede del gatto nella sua ricerca alimentare nonché ai predatori circostanti stessi; tale condizione potrebbe mettere gravemente a repentaglio le possibilità riproduttive dell’intero ecosistema locale. Pertanto, risulta imperativo attuare interventi efficaci tesi alla minimizzazione degli effetti deleteri legati al clima mutevole ed implementare soluzioni concrete destinate alla protezione degli ambienti montani sopra citati.
Verso un Futuro Sostenibile per l’Himalaya
Le recenti ricerche condotte nell’ambito dell’Himalaya forniscono informazioni preziose riguardo alla diversificazione biologica presente in quest’area montuosa, nonché alle insidie cui deve far fronte. L’emergenza della popolazione del gatto di Pallas, insieme ad altri felini adattati ad alte quote, rappresenta una chiara testimonianza dell’incredibile vitalità degli habitat estremi. Nonostante ciò, salvaguardare tale ricchezza naturale esige uno sforzo concertato tra ricercatori scientifici, comunità locali residenti nelle vicinanze dei parchi naturali limitrofi ai picchi nevosi, autorità governative e appassionati viaggiatori.
L’adozione immediata di pratiche turistiche responsabili si rivela cruciale: questo implica il rispetto pieno delle necessità degli animali selvatici circostanti oltre a limitare l’alterazione indotta dall’uomo sull’ambiente circostante. Parallelamente è imprescindibile stanziare risorse adeguate allo sviluppo degli studi scientifici mirati a decifrare le complessive interazioni ecologiche all’interno dei singoli ecosistemi montani; solo così saremo in grado di formulare piani strategici efficaci volti alla conservazione dell’habitat naturale appena descritto. Un approccio collaborativo integrato emerge come unico metodo realistico per garantirne la sopravvivenza futura non solo all’Himalaya ma anche alle forme viventi endemiche qui presenti.
Scrivo ai miei cari lettori, queste importanti evidenze sono un monito sulla necessaria tutela della biodiversità nelle regioni montuose da noi care. Un concetto base dell’alpinismo moderno è il rispetto per l’ambiente, che si traduce in pratiche come il “Leave No Trace”, ovvero non lasciare traccia del proprio passaggio. Un concetto più avanzato è la “rewilding”, ovvero la reintroduzione di specie autoctone per ripristinare gli ecosistemi degradati.
Riflettiamo su come le nostre azioni, anche quelle più semplici come una gita in montagna, possano avere un impatto sull’ambiente. Cerchiamo di essere consapevoli e responsabili, per preservare la bellezza e la ricchezza delle nostre montagne per le future generazioni.