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- Nella stagione autunnale 2025, ben 371 alpinisti stranieri hanno ottenuto il permesso per tentare la vetta del Manaslu, evidenziando un notevole affollamento sulla montagna.
- Il team della Seven Summit Treks ha visto la partecipazione di 17 guide di diverse etnie e 17 clienti provenienti da 12 Paesi, sollevando interrogativi sulle dinamiche interpersonali in alta quota.
- Carlos Soria, a 86 anni, torna sul Manaslu, incarnando lo spirito dell'alpinismo più puro e sfidando i limiti dell'età, a distanza di anni dalla sua prima ascensione avvenuta nel 1975.
L’inizio della stagione autunnale del 2025 sull’imponente Manaslu, la decima montagna più alta del mondo con i suoi 8.163 metri, è segnato da un’intensa attività alpinistica. Le spedizioni si susseguono, spinte da condizioni meteorologiche favorevoli e dall’ambizione di raggiungere la vetta.
L’apertura della via e l’afflusso di alpinisti
Come consuetudine, il lavoro di preparazione è stato affidato a un team di esperti Sherpa, incaricati di attrezzare la via normale con corde fisse. Quest’anno, l’Expedition Operators Association (EOA) nepalese ha gestito direttamente l’operazione, selezionando sei tra gli Sherpa più competenti: Chhiring Bhote, Pasang Sherpa, Hira Bhote, Tashi Sherpa, Karma Sharki Sherpa e Lhakpa Sherpa. Il loro lavoro ha aperto la strada a un numero considerevole di alpinisti: secondo i dati del Ministero del Turismo di Kathmandu, ben 371 alpinisti stranieri hanno ottenuto il permesso per tentare la vetta in questa stagione post-monsonica. A questi si aggiunge un numero pressoché equivalente di Sherpa, creando un affollamento significativo sulla montagna.
Il Manaslu è diventato una meta sempre più popolare negli ultimi anni, soprattutto dopo le restrizioni all’accesso al Cho Oyu, complice la chiusura intermittente del confine cinese. Molti Sherpa sfruttano questa opportunità per effettuare una rapida ascensione, per poi dedicarsi ad attività di trekking e “trekking peak” nei mesi successivi.
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Le prime ascensioni e le dinamiche internazionali
Dopo il team di Sherpa che ha attrezzato la via, il primo gruppo a raggiungere la vetta è stato quello della Seven Summit Treks, una delle agenzie più rinomate del settore. Il team era composto da 17 guide di diverse etnie (Sherpa, Tamang e Bhotia) e 17 clienti provenienti da 12 Paesi diversi: Cina, Russia, Singapore, Australia, Regno Unito, Kazakhstan, Ucraina, Norvegia, Germania, Svizzera, Finlandia e Taiwan. Particolarmente degna di nota è l’ascensione di Pasang Tenje Sherpa, che ha raggiunto la vetta senza l’ausilio di ossigeno supplementare.

La composizione internazionale dei team solleva interrogativi interessanti sulle dinamiche interpersonali in alta quota. Come si è svolta la convivenza tra alpinisti ucraini e russi? E come ha vissuto l’esperienza Yin-Kuei Hsu, l’alpinista taiwanese che ha compiuto l’ascensione senza ossigeno, in mezzo ai cinque alpinisti provenienti dalla Cina?
Nelle prossime ore, si prevede l’arrivo di altri team, tra cui quelli della 8k Expeditions e di altre agenzie nepalesi e straniere. Tra gli alpinisti più attesi ci sono lo spagnolo Carlos Soria, 86 anni, e la guida alpina boliviana Hugo Ayaviri, che punta a salire senza ossigeno supplementare.
Il meteo favorevole e le incognite sulla vetta
Le previsioni meteorologiche per i prossimi giorni sono ottimistiche, con mattinate soleggiate, venti moderati e leggere nevicate previste solo nel pomeriggio-sera. Queste condizioni favorevoli potrebbero incentivare molti alpinisti a tentare la vetta.
Tuttavia, resta aperta la questione sollevata negli anni precedenti riguardo al punto effettivo raggiunto dagli alpinisti. Molti si fermano a una sella nevosa situata 30-35 metri sotto la cima, evitando un ripido pendio o un’aerea crestina di neve. Sarà interessante verificare, al termine delle spedizioni, quanti avranno effettivamente raggiunto il punto più alto della montagna.
Il sogno di Carlos Soria e i limiti dell’alpinismo moderno
Tra i tanti alpinisti che si apprestano a sfidare il Manaslu, spicca la figura di Carlos Soria. A 86 anni, l’alpinista spagnolo non smette di stupire con la sua inesauribile passione per la montagna. Soria, detentore del record di dieci ottomila scalati dopo aver compiuto i 60 anni, torna sul Manaslu a distanza di anni dalla sua prima ascensione, avvenuta nel 1975.
La sua presenza incarna lo spirito dell’alpinismo più puro, quello che sfida i limiti dell’età e della condizione fisica per inseguire un sogno. Allo stesso tempo, la sua spedizione solleva interrogativi sul ruolo dell’alpinismo moderno, sempre più orientato alla performance e alla commercializzazione.
Riflessioni conclusive: tra etica e performance
L’affollamento del Manaslu, le polemiche sulla vetta “vera” e la presenza di alpinisti come Carlos Soria ci invitano a riflettere sull’evoluzione dell’alpinismo. Da un lato, assistiamo a una democratizzazione dell’accesso alle montagne più alte, grazie all’organizzazione di spedizioni commerciali e all’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate. Dall’altro, si pone il problema dell’impatto ambientale, della sicurezza e dell’etica della pratica alpinistica.
È giusto incentivare un turismo di massa sulle montagne più fragili del pianeta? Qual è il limite tra l’assistenza fornita dagli Sherpa e la dipendenza degli alpinisti dalle corde fisse e dall’ossigeno supplementare? E soprattutto, qual è il vero significato di un’ascensione in alta quota?
Queste sono domande complesse, che non hanno una risposta univoca. Tuttavia, è fondamentale porsi questi interrogativi per preservare lo spirito dell’alpinismo e garantire un futuro sostenibile per le montagne.
Amici appassionati di montagna, riflettiamo insieme su questi temi. L’alpinismo è una disciplina che richiede preparazione, rispetto e consapevolezza dei propri limiti. Non si tratta solo di raggiungere una vetta, ma di vivere un’esperienza profonda e trasformativa, in armonia con la natura e con se stessi.
Un concetto avanzato, da tenere sempre a mente, è che la vera sfida dell’alpinismo non è solo superare le difficoltà tecniche e fisiche, ma anche quelle etiche e morali. Ogni alpinista è chiamato a fare delle scelte responsabili, che tengano conto dell’impatto delle proprie azioni sull’ambiente e sulle comunità locali. Solo così potremo continuare a vivere la montagna in modo autentico e sostenibile.