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- Nel 1997, la spedizione E. A. S. T. Lhotse ha unito alpinismo e ricerca scientifica, installando un campo base a 7.500 metri per studiare le reazioni del corpo umano in alta quota.
- Fausto De Stefani, nonostante la controversia sulla sua presunta ascensione al Lhotse nel 1997, ha scalato 13 dei 14 ottomila, diventando uno degli alpinisti più esperti al mondo.
- La parete sud del Lhotse, con un dislivello di oltre 3.000 metri, rimane una sfida irrisolta, dopo i tentativi falliti, tra gli altri, della spedizione italiana del 1975 e di quella jugoslava del 1981.
- Nel 2001, una spedizione russa ha conquistato il Lhotse Middle, a 8.414 metri, aprendo un nuovo itinerario di salita attraverso la parete nord-est.
L’eco possente delle cime himalayane risuona ancora, portando con sé racconti di sfide ardue, aspirazioni elevate e successi memorabili. Il Lhotse, la quarta montagna più alta del pianeta, con i suoi 8.516 metri, è stato il palcoscenico di imprese alpinistiche che hanno lasciato un segno indelebile nella storia. Oggi, rivisitiamo alcune di queste avventure, analizzando le diverse prospettive e le difficoltà che gli alpinisti hanno affrontato e continuano ad affrontare con coraggio.
Spedizione E. A. S. T. Lhotse 1997: tra scienza e vetta
Nel 1997, una spedizione chiamata E. A. S. T. (Extreme Altitude Survival Test) si prefiggeva l’obiettivo di unire l’alpinismo con la ricerca scientifica avanzata. Condotta da Agostino Da Polenza, la spedizione era composta da alpinisti di grande esperienza come Mario e Salvatore Panzeri, Jean-Christophe Lafaille e Abele Blanc. L’intento era duplice: conquistare la vetta del Lhotse e realizzare test medici ad alta quota per studiare le reazioni del corpo umano in condizioni ambientali estreme.
La spedizione si trovò ad affrontare numerose complicazioni. I venti impetuosi in alta quota ostacolarono ripetutamente i tentativi di salita, generando frustrazione e mettendo a dura prova la tenacia degli alpinisti. Nonostante le avversità, il team non si arrese, installando un campo base per le analisi a 7.500 metri e realizzando prelievi di sangue e altre misurazioni essenziali.
Il 28 maggio 1997, Jean-Christophe Lafaille e i fratelli Panzeri raggiunsero finalmente la cima del Lhotse, realizzando un sogno lungamente coltivato. La spedizione E. A. S. T. si dimostrò un’esperienza complessa e ardua, ma alla fine appagante, dimostrando che è possibile conciliare l’esplorazione alpinistica con l’indagine scientifica.

- Che impresa incredibile quella della spedizione E.A.S.T. 🚀......
- La vicenda di De Stefani è controversa 🤔......
- La parete sud del Lhotse è una metafora della vita 🏔️......
Fausto De Stefani: alla ricerca del “grande slam”
Un altro personaggio chiave nella storia del Lhotse è Fausto De Stefani, alpinista italiano con un curriculum di tutto rispetto nel mondo dell’alpinismo. Nel 1997, De Stefani dichiarò di aver scalato il Lhotse, ma la sua ascensione fu messa in discussione a causa di una violenta tempesta che rese difficile la sua convalida. Le fotografie e i riferimenti forniti non furono considerati sufficientemente probanti, e un altro alpinista affermò di aver visto le impronte degli italiani interrompersi prima della vetta.
Nonostante la mancata approvazione ufficiale, De Stefani non si scoraggiò e continuò a perseguire la sua passione per la montagna. Negli anni successivi, ha scalato 13 dei 14 ottomila, affermandosi come uno degli alpinisti più esperti a livello globale.
Nel 2009, all’età di 55 anni, De Stefani fece ritorno in Himalaya con l’obiettivo di scalare nuovamente il Lhotse e completare il “grande slam” degli ottomila. Affiancato dall’amico Sergio Martini, De Stefani affrontò la sfida con la risolutezza che da sempre lo ha caratterizzato, dimostrando come l’amore per la montagna possa superare ogni ostacolo.
La parete sud del Lhotse: una sfida leggendaria
La parete sud del Lhotse è considerata una delle vie di scalata più ardue e insidiose del pianeta. Caratterizzata da un dislivello di oltre 3.000 metri e da pendenze estremamente ripide, questa parete ha resistito a innumerevoli tentativi di ascensione, guadagnandosi una fama leggendaria tra gli alpinisti.
Tra le spedizioni più significative che hanno tentato la scalata della parete sud, si ricordano quella italiana del 1975 guidata da Riccardo Cassin e quella jugoslava del 1981 guidata da Ales Kunaver. Nel 1989, l’alpinista polacco Jerzy Kukuczka trovò la morte durante un tentativo sulla parete sud, a causa della rottura di una corda.
Nonostante i numerosi sforzi, la parete sud del Lhotse resta una sfida irrisolta per gli alpinisti di ogni nazione, un simbolo di difficoltà e pericolo che continua ad affascinare gli appassionati dell’estremo.
Lhotse Middle: un mistero svelato
Per molto tempo, il Lhotse Middle è stata la cima inviolata più alta della Terra. Situata a 8.414 metri, questa vetta secondaria del Lhotse ha rappresentato un enigma per gli alpinisti, che si sono interrogati sulla sua accessibilità e sul suo rilievo alpinistico.
Nel 2001, una spedizione russa guidata da Vladimir Bashkirov riuscì finalmente a raggiungere la vetta del Lhotse Middle, aprendo un nuovo itinerario di salita attraverso la parete nord-est. La spedizione russa dimostrò che anche le vette secondarie degli ottomila possono costituire una sfida alpinistica di grande importanza, e che la tenacia e la determinazione possono condurre alla scoperta di nuovi orizzonti.
Oltre la conquista: l’importanza dell’esperienza
Le avventure sul Lhotse ci rivelano che l’alpinismo non si limita alla semplice conquista della vetta, ma è anche un percorso di crescita interiore, un superamento dei propri limiti e un profondo rispetto per l’ambiente montano. Come sottolineava Fausto De Stefani, la montagna deve essere vista “come un ambiente di grande libertà, un luogo d’avventura vissuta come esplorazione del proprio io.” Egli evidenziava, inoltre, che la vera importanza risiede “nella ricchezza delle sensazioni e delle scoperte che si vivono”.
L’alpinismo contemporaneo è in continua evoluzione, con nuove sfide e tecnologie innovative. La traversata Everest-Lhotse, più volte tentata da Simone Moro, è un esempio di queste sfide, un’espressione dell’ambizione umana di spingersi oltre i confini e di esplorare territori inesplorati.
L’alpinismo non è solo una questione di muscoli e tecnica, ma anche di mente e cuore.* È un’arte che richiede equilibrio, intuizione e una profonda connessione con la natura.