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- Il 27 aprile 2025, la bandiera romanì ha raggiunto per la prima volta la vetta dell'Everest, segnando un evento storico.
- Gennaro Spinelli ha percorso 150 chilometri in 16 giorni, affrontando temperature fino a -20 gradi per portare a termine l'impresa.
- La bandiera innalzata sull'Everest riportava le firme di Rom, Sinti e sostenitori della cultura romanì provenienti da ogni angolo d'Europa, a testimonianza di una comunità viva che perdura, crea e conserva la memoria.
Un evento epocale ha impresso un nuovo corso nel mondo dell’alpinismo e nella sfera culturale: il 27 aprile 2025, il vessillo del popolo Romanì ha toccato, per la prima volta, la cima dell’Everest.
Un gesto simbolico di portata storica
La salita di Spinelli non è stata una mera prova di abilità alpinistica, bensì un atto simbolico di profonda risonanza. Come evidenziato dai fautori dell’iniziativa, si è trattato di un “filo teso tra le vette dell’Himalaya e le terre dell’Abruzzo, dei Balcani, del Rajasthan, dell’Europa intera”, un percorso plurisecolare intriso di sofferenza, bellezza e capacità di ripresa.
Spinelli stesso ha manifestato l’immenso onore di aver portato il simbolo romanì sull’Everest, definendolo “il nostro simbolo, la nostra forza e il nostro futuro”. Questo gesto incarna la magnificenza, la grandezza e la tenacia di una cultura che, dopo millenni, reclama il diritto di esistere e di essere riconosciuta con rispetto in ogni parte del globo.
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Un’impresa ardua e ricca di significato
Il percorso verso la sommità è stato tutt’altro che agevole. Spinelli ha narrato di aver camminato per 150 chilometri in 16 giorni, fronteggiando “pietre, ghiaccio e vento tagliente come la bora”. Il suo zaino non conteneva solo vettovaglie, ma anche “memoria, orgoglio e sogni”. Superati i 5.500 metri di quota, con temperature precipitate fino a -20 gradi, lo stendardo dei Rom e dei Sinti ha trovato la sua dimora nel cielo più elevato.
La bandiera innalzata sull’Everest non era un semplice drappo. *Su di essa campeggiavano le firme di Rom, Sinti e sostenitori della cultura romanì provenienti da ogni angolo d’Europa, a testimonianza di una comunità viva che perdura, crea e conserva la memoria. Questo particolare enfatizza l’essenza collettiva dell’impresa, simbolo di coesione e di auspicio per un popolo che ha sovente dovuto affrontare disparità e preconcetti. Il vessillo riportava le sottoscrizioni di Rom, Sinti e paladini della cultura romanì di tutta Europa, emblemi di una comunità tenace che persiste, innova e custodisce il ricordo del passato. Il vessillo recava le dediche autografe di Rom, Sinti e attivisti per la cultura romanì provenienti da tutto il continente europeo, emblemi tangibili di un popolo che resiste, crea e preserva la memoria.

Un riconoscimento istituzionale e un messaggio di speranza
L’iniziativa ha ricevuto il patrocinio morale dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso Palazzo Chigi) e della presidenza del Consiglio dei ministri, oltre al sostegno morale dell’ANPI nazionale e della Croatian Romani Union “Kali Sara”. Tale riconoscimento istituzionale sottolinea la rilevanza dell’evento e il suo valore simbolico nella lotta contro le discriminazioni e nella promozione dell’inclusione.
Spinelli ha espresso la sua gratitudine agli Sherpa, ai tecnici e alle comunità che hanno sostenuto questa visione, sottolineando che “oggi i Rom stanno sull’Everest”. Questo messaggio di speranza e di orgoglio risuona con forza in un momento storico in cui la cultura romanì cerca di affermare la propria identità e di superare secoli di pregiudizi.
Un’eredità duratura: l’Everest come simbolo di resilienza e dignità
L’impresa di Gennaro Spinelli e della bandiera Romanì sull’Everest rappresenta un punto di svolta nella storia del popolo romanì. Non si tratta solo di un successo alpinistico, ma di un simbolo potente di resilienza, dignità e speranza. L’immagine della bandiera che sventola sulla vetta più alta del mondo è destinata a rimanere impressa nella memoria collettiva, un monito a non dimenticare le sofferenze del passato e un invito a costruire un futuro di inclusione e rispetto per tutte le culture.
La scalata di Spinelli, con i suoi 150 chilometri percorsi a piedi e i -20 gradi affrontati, incarna la determinazione di un popolo che ha saputo superare innumerevoli ostacoli e che continua a lottare per i propri diritti. La bandiera, con le firme di Rom, Sinti e attivisti provenienti da tutta Europa, rappresenta l’unità e la forza di una comunità che non si arrende di fronte alle avversità.
L’Everest, da sempre simbolo di sfida e di conquista, diventa ora anche un simbolo di inclusione e di riconoscimento per un popolo che ha contribuito in modo significativo alla ricchezza culturale del nostro continente. L’impresa di Spinelli ci ricorda che la montagna, come la vita, può essere difficile e impervia, ma che con determinazione, coraggio e un forte senso di identità è possibile raggiungere qualsiasi vetta.
Riflessioni sull’Alpinismo e l’Identità Culturale
L’impresa di Gennaro Spinelli ci offre uno spunto di riflessione sull’alpinismo moderno e il suo legame con l’identità culturale. L’alpinismo non è solo una sfida fisica, ma anche un’opportunità per esprimere valori e identità.* La montagna diventa un palcoscenico dove si possono celebrare culture e promuovere messaggi di inclusione e rispetto.
Una nozione base di alpinismo è che ogni scalata è un viaggio personale, ma anche un’esperienza condivisa con la comunità. Una nozione avanzata è che l’alpinismo può essere uno strumento di diplomazia culturale, creando ponti tra popoli e promuovendo la comprensione reciproca.
L’impresa di Spinelli ci invita a riflettere sul significato profondo dell’alpinismo e sul suo potenziale per promuovere un mondo più inclusivo e rispettoso delle diversità culturali. Ci spinge a considerare come le nostre passioni e le nostre sfide personali possano diventare strumenti per costruire un futuro migliore per tutti.