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- Simone Midali, maestro di sci di Branzi, ha scalato l'Ama Dablam il 24 ottobre 2025, seguendo le orme di altri alpinisti bergamaschi.
- La preparazione per l'Ama Dablam è durata sette mesi, culminando in una salita di meno di 24 ore dal campo base alla vetta e ritorno, nonostante temperature fino a -30°C.
- Nel 1985, una spedizione del CAI di Ballabio, guidata da Casimiro Ferrari, conquistò la cresta nord dell'Ama Dablam, includendo giovani promesse come Mario Panzeri, che in seguito divenne il primo lecchese a scalare tutti i 14 Ottomila senza ossigeno.
- Nel 1979 il climber americano Jeff Lowe realizzò un'epocale scalata in solitaria sulla parete sud dell'Ama Dablam; lo stesso anno vide anche il trionfo della squadra francese che riuscì ad afferrare l'impegnativa cresta nord, caratterizzata da 1.600 metri di battaglia tecnica.
- L'Ama Dablam, alta 6.812 metri, continua ad attrarre alpinisti da tutto il mondo, offrendo sfide uniche e promuovendo la sostenibilità e l'etica nell'alpinismo contemporaneo.
Le montagne bergamasche trovano risonanza nell’Himalaya grazie a un rinomato maestro di sci proveniente da Branzi, il quale ha saputo imprimere il proprio marchio sull’Ama Dablam. Questa vetta rappresenta un’autentica amalgama di sfida e bellezza primordiale tipica dell’alta quota.
L’ascensione di Simone Midali: una nuova stella brilla sull’Ama Dablam
Il 24 ottobre 2025, Simone Midali, 45 anni, ha coronato il suo sogno di scalare l’Ama Dablam, raggiungendo la vetta di questa montagna iconica, spesso soprannominata il “Cervino dell’Himalaya” per la sua forma piramidale e imponente. La sua impresa non è solo un successo personale, ma anche un tributo alla tradizione alpinistica bergamasca, che ha visto altri illustri scalatori come Simone Moro, Yuri Parimbelli e Marco Dalla Longa cimentarsi con questa vetta impegnativa.
Midali, maestro di sci di Branzi, ha scoperto relativamente tardi la sua passione per l’alpinismo d’alta quota. Dopo anni dedicati allo sci e al trekking, nell’estate del 2024 ha affrontato l’Island Peak (6.165 metri) in Nepal, un’esperienza che ha rivelato il suo potenziale e lo ha spinto a puntare più in alto. La preparazione per l’Ama Dablam è durata sette mesi, un periodo di allenamento fisico e mentale intenso, culminato con la salita in meno di 24 ore dal campo base alla vetta e ritorno. Ad accompagnarlo in questa avventura uno sherpa esperto, fondamentale per superare le difficoltà del percorso, tra cui un pericoloso seracco da attraversare. Temperature gelide che giungevano fino a -30°C hanno complicato notevolmente l’impresa; tuttavia, grazie alla tenacia mostrata da Midali e all’insorgere di condizioni atmosferiche propizie, il gruppo è riuscito a toccare la vetta nella mattinata del 24 ottobre.

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L’Ama Dablam: una montagna che sfida generazioni di alpinisti
L’Ama Dablam si erge imponente a 6.812 metri, suscitando venerazione tra gli appassionati delle vette alpine. La prima ascensione avvenne nel 1961, grazie a un team anglo-neozelandese sotto la guida dell’infaticabile Sir Edmund Hillary, che conquistò la cresta sud-ovest della montagna. Da allora hanno visto luce numerose linee d’arrampicata sul suo versante: ciascuna porta con sé specifiche insidie ed emozioni senza pari. Il climber americano Jeff Lowe, nel lontano 1979, realizzò un’epocale scalata in solitaria sulla parete sud; lo stesso anno vide anche il trionfo della squadra francese che riuscì ad afferrare l’impegnativa cresta nord, caratterizzata da battaglia tecnica su ben 1.600 metri.
In particolare per i nostri connazionali, l’arrampicata sulla cresta nord dell’Ama Dablam rappresentò l’apice delle sfide verticali: nel 1985, il lancio fortunato portava alla vittoria il CAI di Ballabio,fondato negli anni ’20. A capo della missione c’era Casimiro Ferrari; lui allargò orizzonti chiedendo ai giovani promettenti
caratterizzati da Carlo Aldé, Mario Panzeri e Danilo Valsecchi d’essere protagonisti salienti nella scalata come se fosse uno scambio intergenerazionale.< La decisione prese forma come un atto di straordinaria preveggenza; infatti, con il passare del tempo, Panzeri avrebbe realizzato un traguardo eccezionale: diventare il primo cittadino di Lecco a conquistare tutti i 14 Ottomila senza avvalersi del supporto delle bombole d'ossigeno.
La spedizione del 1985: un modello di collaborazione e crescita
Nel 1985, la missione diretta verso l’Ama Dablam emerse non solo per lo straordinario impegno individuale dei partecipanti ma anche per un pronunciato spirito cooperativo e un piano d’azione definito con chiarezza. Il leader Ferrari comprese perfettamente la necessità vitale di coltivare giovani promesse nel panorama alpinistico; pertanto scelse deliberatamente di includere nella sua squadra degli individui poco esperti ma dotati di grande potenziale. Questo amalgama generazionale conferì nuova vita alla spedizione. Ma c’era anche un obiettivo secondario: la volontà de facto si manifestava attraverso atti concreti che intendevano abbattere quelle barriere settarie che affliggevano la comunità degli scalatori lecchesi. Soprattutto emblematico fu il coinvolgimento dell’alpinista Danilo Valsecchi del Gruppo Gamma — realtà autonoma rispetto ai Ragni — dimostrando così che nell’alpinismo non devono sussistere rivalità ma piuttosto unità nell’affrontare avventure titaniche.
Tra incidenti imprevisti, vale la pena citare il momento in cui l’ufficiale incaricato erroneamente orientò il team lungo il versante errato della vetta montuosa; malgrado ciò, il senso di appartenenza all’interno del gruppo consentì loro non solo d’affrontare questa difficoltà iniziale ma anche d’organizzare in modo efficiente tutte le operazioni successive necessarie al proseguimento della scalata. Sul versante della montagna, l’abilità dei giovani emerse in modo prepotente; Panzeri assunse un ruolo da protagonista, esibendo una condotta caratterizzata da competenza e abilità. Gli onori finali andarono a Ferrari e ai membri del suo entourage di maggiore esperienza, mentre il 23 aprile vide la congregazione di tutti gli attori sul culmine dell’avventura.
Eredità di una vetta: ispirazione per il futuro dell’alpinismo
Il trionfo sull’Ama Dablam ottenuto da Simone Midali insieme alla memorabile spedizione del 1985 si colloca come un capitolo rilevante nella narrazione storica dell’alpinismo tanto bergamasco quanto italiano. Tali gesta attestano quanto sia cruciale la passione, unita a un’adeguata preparazione ed efficaci collaborazioni nel superamento delle sfide ardue verso obiettivi audaci. La vetta dell’Ama Dablam rimane magneticamente attrattiva per gli alpinisti globalmente riconosciuti; essa offre loro l’occasione non solo per testare i propri limiti ma anche per vivere esperienze indelebili.
Le ripercussioni delle suddette imprese echeggiano nel regno delle montagne stesse, incoraggiando giovani aspiranti alpinisti ad ambire a mete elevate senza mai cedere all’incertezza. Come accade in qualunque attività sportiva, l’alpinismo necessita d’impegno sincero, capacità operative ben consolidate, e profonda familiarità con il mondo verticale rappresentato dalla montagna. L’organizzazione scrupolosa degli itinerari, la gestione rigorosa dei potenziali rischi, nella consapevolezza della propria forma fisica e psicologica sono elementi imprescindibili nell’affrontare le sfide poste dall’alta quota in condizioni ottimali. L’importanza della sostenibilità e dell’etica nel contesto dell’alpinismo contemporaneo rappresenta un concetto cardine. Sempre più frequentemente, gli alpinisti dimostrano una crescente sensibilità riguardo all’impatto ambientale derivante dalle proprie pratiche, dedicandosi ad operare con la massima responsabilità possibile nei confronti del pianeta.
Irrinunciabili divengono pertanto scelte oculate nella selezione dei percorsi d’arrampicata, la cui attuazione deve avvenire senza compromettere l’equilibrio degli ecosistemi montani; ciò implica anche una particolare attenzione alla questione dei rifiuti in alta quota, nonché il sostegno alle popolazioni locali insediate in queste aree.
L’alpinismo richiede un incessante aggiornamento culturale ed operativo poiché è una disciplina fortemente dinamica. Cercare nuove tecniche innovative così come materiali più performanti costituisce un imperativo per ogni praticante del settore; essi mirano a gestire in modo sempre più sicuro ed efficiente le sfide connesse all’alta quota.
A tal fine si rende necessario monitorare attentamente le condizioni meteorologiche prevalenti, valutare meticolosamente le peculiarità geografiche del terreno affrontato ed intraprendere la sperimentazione di equipaggiamenti nuovi.
In definitiva, l’alpinismo assume quasi i connotati di una metafora esistenziale: essa rappresenta una continua prova personale da fronteggiare, dove ostacoli vanno superati ed emozioni gratificanti da cogliere rendendo l’esperienza unica. Tale percorso offre lo spazio necessario per superare i propri limiti, nella ricerca instancabile del nostro autentico potenziale. Il raggiungimento di ogni cima rappresenta un’importante conquista individuale; si tratta di una meta capace di infonderci un profondo senso di orgoglio, stimolandoci così a proiettare il nostro sguardo oltre, verso sfide inedite e avventure ancora da intraprendere. La pratica dell’alpinismo offre preziose lezioni sul valore della resilienza: invita a non cedere alle difficoltà, ma piuttosto ad avere fiducia nelle proprie capacità ed alimenta il coraggio necessario per perseguire sogni ambiziosi.
- Pagina di Wikipedia dedicata all'Ama Dablam, con storia, ascensioni e caratteristiche.
- Pagina Wikipedia sull'Ama Dablam, con dettagli su storia e ascensioni.
- Sito ufficiale del Club Alpino Italiano, utile per approfondire la storia alpinistica.
- Articolo del CAI sulla spedizione del 1985 all'Ama Dablam guidata da Casimiro Ferrari.







