E-Mail: [email protected]
- Filippo Ruffoni ha scalato l'Ama Dablam (6.812 metri) seguendo lo stile alpino lungo la via sud-ovest, dimostrando abilità tecnica e determinazione.
- Ruffoni, 49enne, si è preparato scalando vette come il Pico de Orizaba (5.650 metri), l’Elbrus (5.642 metri) e il Mera Peak (6.476 metri), acquisendo acclimatazione e competenze essenziali.
- Nonostante le recenti tragedie che hanno colpito la comunità alpinistica nepalese, Ruffoni ha rassicurato i familiari sulla sua sicurezza e ha continuato verso la vetta, dimostrando fermezza e passione per la montagna.
Il climber Filippo Ruffoni ha finalmente raggiunto il traguardo tanto atteso: l’Ama Dablam, una delle montagne più famose dell’Himalaya. L’impresa è stata realizzata seguendo lo stile alpino lungo la *via sud-ovest, un approccio che richiede un elevato livello di abilità tecnica e determinazione. Questo successo acquisisce particolare rilevanza alla luce delle <a class="crl" href="https://www.rivistadellamontagna.it/news/himalaya-in-lutto-valanghe-mortali-spezzano-i-sogni-di-5-alpinisti-italiani/”>tragiche vicende che hanno segnato recentemente la comunità degli alpinisti nepalesi.
L’Ascesa all’Ama Dablam: Un Sogno Realizzato
Filippo Maria Ruffoni ha recentemente coronato un ambizioso obiettivo: scalare l’Ama Dablam (6.812 metri), una montagna icona nell’Himalaya nepalese. La comunicazione della sua impresa è stata trasmessa ai familiari tramite un messaggio satellitare. Iniziando il proprio viaggio dall’Italia il 25 ottobre 2025, si è integrato all’interno del team condotto da Chhongba Lama Sherpa; dopo essersi fermati a Namche Bazar nel corso della spedizione iniziale, sono stati effettuati diversi accampamenti nei campi 1 e 2 prima di affrontare le ultime sfide dal campo 3.
L’Ama Dablam non solo svetta con il suo elegante profilo piramidale nella regione del Khumbu a sud-est del maestoso Everest, ma rappresenta anche una delle montagne più complesse da conquistare nell’Himalaya orientale. La salita compiuta da Ruffoni ha seguito la storica via sud-ovest; sebbene sia riconosciuta come tradizionale, essa si distingue per le sue difficoltà intrinseche che comprendono sezioni tecniche su roccia così come aree miste ghiaccio-roccia caratterizzate da esposizioni pericolose su creste taglienti.
Un Percorso di Preparazione e Acclimatazione
Il trionfo sulla vetta dell’Ama Dablam segna un’importante tappa nel meticoloso viaggio preparatorio intrapreso da Ruffoni. Questo alpinista quarantanovenne ha dedicato una considerevole quantità del suo tempo a intensi programmi di allenamento che lo hanno portato a scalare numerose vette significative: dal Pico de Orizaba in Messico, con i suoi 5.650 metri, all’Elbrus situato nel Caucaso, che raggiunge i 5.642 metri; non meno rilevanti sono stati i suoi tentativi sul Monte Kenya, alto 5.047 m, e sul Kilimangiaro, con la sua imponente altezza di 5.895 m; si devono citare anche l’emblematico Kazbeg georgiano a quota 5.054 m e la vetta africana Margherita, che si eleva a 5.109 metri, fino ad arrivare infine al Mera Peak con i suoi straordinari 6.476 m di altitudine complessiva! Tali avventure non solo hanno forgiato le competenze tecniche necessarie, ma hanno anche consentito a Ruffoni un’efficace acclimatazione alle condizioni estreme delle alte quote, due requisiti imprescindibili per fronteggiare le sfide imposte dall’Ama Dablam.

Tra Sfida Personale e Tragedie in Montagna
La realtà dell’impresa condotta da Ruffoni acquista una risonanza ancor più intensa se si considera il recente tragico bilancio che ha colpito l’ambiente alpinistico nepalese. Diverse tempeste nevose insieme alle valanghe sono state responsabili della scomparsa prematura di numerosi alpinisti – inclusi cittadini italiani – nei pressi della regione frequentata da Ruffoni stesso. Le notizie riguardanti questi eventi catastrofici avevano suscitato notevoli preoccupazioni tra i suoi familiari; tuttavia, l’alpinista ha prontamente fornito rassicurazioni sulla propria sicurezza attestando chiaramente che si trovava su terreni protetti mentre esprimeva l’intenzione ferrea di continuare verso la vetta.
La fermezza mostrata da Ruffoni nella realizzazione del suo ambizioso progetto è una chiara prova della fervida passione nutrita per la montagna oltre che della consapevole familiarità con gli immanenti rischi propri delle escursioni ad alta quota. Grazie all’elevata competenza accumulata nel corso degli anni – insieme ai preziosi consigli del navigato Chhongba Lama Sherpa – Ruffoni è riuscito ad affrontare le sfide poste dall’Ama Dablam equipaggiato non solo fisicamente ma anche mentalmente con tutte le precauzioni necessarie.
Un’Eredità di Ispirazione e Rispetto per la Montagna
L’impresa compiuta da Filippo Ruffoni sull’Ama Dablam va oltre i meri confini dello sport; si configura piuttosto come un’esperienza umana profondamente significativa. Durante il suo soggiorno in Nepal, egli ha colto l’occasione per instaurare un contatto profondo con la cultura himalayana e gli abitanti sherpa, una comunità caratterizzata da una simbiotica relazione con le montagne. Questi ultimi sono custodi della memoria collettiva, della spiritualità radicata nel territorio e del coraggio ereditato dai propri antenati.
Al termine del suo viaggio, Ruffoni ha manifestato ripetutamente l’intento di narrare le proprie avventure al pubblico italiano tramite eventi dedicati a storie accompagnate da immagini evocative. La sua missione è quella di ispirare altre persone nella passione per l’alpinismo, puntando su pratiche sostenibili e attente al rispetto ambientale così come delle tradizioni locali.
Conclusione: Oltre la Vetta, un Viaggio Interiore
L’impresa di Filippo Ruffoni sull’Ama Dablam trascende la mera conquista fisica di una vetta. È un viaggio interiore, un’esplorazione dei propri limiti e delle proprie risorse, un incontro con la natura selvaggia e con una cultura millenaria. La sua storia ci ricorda che l’alpinismo non è solo una sfida sportiva, ma anche un’occasione per crescere come individui e per arricchire il nostro spirito.
Amici appassionati di montagna, la storia di Ruffoni ci offre uno spunto di riflessione importante. L’alpinismo, come molte altre attività umane, è intrinsecamente legato al rischio. La capacità di valutare i pericoli, di prepararsi adeguatamente e di prendere decisioni consapevoli è fondamentale per minimizzare i rischi e per vivere la montagna in modo sicuro e responsabile.
Un concetto avanzato, spesso discusso tra gli alpinisti esperti, è quello della “finestra di opportunità*”. Si riferisce al periodo di tempo in cui le condizioni meteorologiche e ambientali sono favorevoli per tentare un’ascensione. L’atto di riconoscere e utilizzare tale finestra necessita non solo di un’approfondita conoscenza della montagna ma anche di un’imponente esperienza associata a un sesto senso.
La narrazione riguardante Ruffoni stimola delle considerazioni in merito al nostro legame con l’ambiente montano. La ricerca della sfida accende in noi il desiderio d’avventura; tuttavia, è imprescindibile mantenere vivo il rispetto verso l’ecosistema circostante così come nei confronti degli individui che vi risiedono. Le montagne rappresentano tanto uno spazio d’incredibile bellezza quanto un dominio carico di insidie e incertezze. Dobbiamo approcciarle dotati dell’umiltà necessaria accompagnata da preparazione mirata e coscienza dei rischi; solo così avremo accesso a momenti indelebili nella nostra esperienza personale.







