E-Mail: [email protected]
- L'alpinismo d'élite rivela una «battaglia silenziosa» contro disturbi mentali come depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico (PTSD), causati da isolamento, pressione del successo e rischio costante di morte.
- Eventi estremi come quello del Pumori nel 1980, dove l'alpinista Toni Klingendrath rimase bloccato sotto una valanga, dimostrano come la paura della morte possa portare a profonde riflessioni sull'esistenza.
- Il progetto «Oltre la Vetta» del Club Alpino Italiano (CAI) mira a creare una rete di supporto per chi ha subito lutti o traumi in montagna, offrendo una rete nazionale di professionisti della salute mentale.
La Battaglia Silenziosa
L’eco silenziosa delle vette: un problema crescente
L’alpinismo, disciplina che eleva l’uomo oltre i limiti fisici e psichici, rivela una realtà spesso celata: la vulnerabilità emotiva dei suoi protagonisti. Dietro l’apparenza di figure invincibili, capaci di affrontare condizioni estreme e sfidare la morte, si cela una lotta silenziosa contro disturbi mentali come la depressione, l’ansia e il disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Questo articolo si propone di esplorare le cause di questi problemi, analizzando l’isolamento, la pressione del successo e il rischio costante che gli alpinisti di élite affrontano.
L’alpinismo si presenta come un’attività solitaria, dove l’atleta trascorre lunghi periodi lontano dalla società, dalla famiglia, dagli amici. Questo isolamento geografico contribuisce ad acuire il senso di solitudine. Ma esiste anche un isolamento emotivo, determinato dalla difficoltà di condividere le proprie paure, ansie e frustrazioni con gli altri. La cultura dell’alpinismo, che celebra la forza, l’indipendenza e l’autocontrollo, può rendere difficile ammettere le proprie debolezze e chiedere aiuto. Questo silenzio interiore porta spesso ad un accumulo di stress e ad una difficoltà nel gestire le emozioni negative.
La pressione per il successo costituisce un altro elemento che incide sulla salute mentale degli alpinisti. In un contesto dove la performance è tutto, gli atleti sono costantemente spinti a superare i propri limiti, a raggiungere nuove vette e a ottenere risultati sempre più ambiziosi. Gli sponsor, i media e il pubblico contribuiscono ad alimentare queste aspettative, creando un ambiente di competizione dove la paura del fallimento può generare ansia, stress e burnout.
Il rischio costante di morte, intrinseco all’alpinismo, rappresenta un elemento traumatico che può avere conseguenze durature sulla salute mentale degli atleti. Incidenti, valanghe, cadute e condizioni meteorologiche estreme sono pericoli sempre presenti che possono innescare disturbi da stress post-traumatico (PTSD). Assistere alla morte di un compagno di cordata o sfuggire per un pelo alla tragedia può lasciare cicatrici profonde nella psiche degli alpinisti.
Esempi come quello del Pumori nel 1980, dove l’alpinista Toni Klingendrath si trovò bloccato sotto una valanga, dimostrano come questi eventi estremi possano portare ad una profonda riflessione sul significato dell’esistenza e sulla paura della morte. Klingendrath, intrappolato sotto la neve, si rassegnò alla morte, ma allo stesso tempo, un istinto profondo lo spinse a reagire e a scavare per liberarsi. Questa esperienza lo portò a riflettere sul valore della vita e sulla necessità di lottare contro la rassegnazione.
Altro esempio è quello legato al Cerro Torre e alla spedizione dei Ragni di Lecco nel 1974. Questo evento ha segnato la storia dell’alpinismo e ha messo in luce la resilienza degli alpinisti di fronte alle difficoltà. Tommaso Sebastiano Lamantia, alpinista che ha partecipato ad una spedizione al Cerro Torre nel 2017, racconta come la resilienza sia fondamentale per superare le sfide e gli eventi negativi che si presentano durante una spedizione. La scomparsa del suo compagno Giovanni “Charlie” Giarletta, travolto da una valanga nel 2018, ha rappresentato una prova durissima, ma allo stesso tempo, lo ha spinto a canalizzare l’energia del trauma in qualcosa di positivo.
- 💪 È fantastico vedere che si parla apertamente di......
- 😔 Purtroppo, l'articolo ignora il ruolo delle dinamiche di......
- 🤔 Ma se la vera vetta fosse dentro di noi, e......
Isolamento e pressione: le radici del malessere
L’isolamento nell’alpinismo non è solo una condizione fisica, ma anche emotiva e sociale. Le spedizioni spesso richiedono settimane o mesi di permanenza in ambienti remoti, lontani dal supporto sociale e familiare. Questo prolungato isolamento può portare a sentimenti di solitudine, depressione e alienazione. La mancanza di interazione sociale regolare può anche compromettere la capacità di gestire lo stress e le emozioni.
Il senso di solitudine si acuisce in quegli ambienti a causa di difficoltà di comunicazione con il mondo esterno. Le condizioni ambientali estreme possono rendere difficoltoso l’utilizzo di dispositivi elettronici, limitando i contatti con i propri cari. Anche quando la comunicazione è possibile, può essere difficile esprimere appieno le proprie emozioni e preoccupazioni a persone che non comprendono la realtà dell’alpinismo.
La pressione per il successo è un altro fattore determinante. Gli alpinisti di élite sono costantemente sotto i riflettori, spinti a superare i propri limiti e a raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. Questa pressione può provenire da diverse fonti, tra cui sponsor, media, fan e, soprattutto, se stessi.
La paura del fallimento può essere paralizzante. Gli alpinisti possono sentirsi sotto pressione per dimostrare il proprio valore e per giustificare gli investimenti fatti in loro. La competizione con altri atleti può anche aumentare lo stress e l’ansia.
Inoltre, l’alpinismo è un’attività intrinsecamente rischiosa. Gli alpinisti sono costantemente esposti a pericoli come valanghe, cadute, crepacci e condizioni meteorologiche estreme. Questa costante esposizione al rischio può portare a stress cronico, ansia e disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Assistere ad incidenti o alla morte di compagni di cordata può essere particolarmente traumatico.
Gli incidenti in montagna possono avere conseguenze psicologiche durature. Gli alpinisti possono sviluppare flashback, incubi, ansia e depressione. Possono anche avere difficoltà a concentrarsi, a dormire e a interagire con gli altri.

Resilienza e supporto: strategie per affrontare le sfide
Nonostante le difficoltà, molti alpinisti dimostrano una notevole resilienza e sono in grado di superare le sfide che si presentano. La resilienza è la capacità di affrontare le avversità, superarle e uscirne rafforzati. Gli alpinisti resilienti sono in grado di accettare i propri limiti, di imparare dai propri errori, di trovare un significato nella propria passione e di mantenere un atteggiamento positivo anche di fronte alle difficoltà.
Diverse strategie possono aiutare gli alpinisti a sviluppare la resilienza. La mindfulness, ovvero la capacità di concentrarsi sul momento presente senza giudizio, può aiutare a ridurre lo stress e l’ansia. La ricerca di supporto sociale, attraverso la condivisione delle proprie esperienze con amici, familiari o professionisti, può fornire un senso di connessione e di comprensione. La definizione di obiettivi realistici e la celebrazione dei piccoli successi possono aiutare a mantenere la motivazione e a rafforzare la fiducia in se stessi.
Il supporto psicologico è fondamentale per gli alpinisti che hanno subito traumi o che stanno lottando con problemi di salute mentale. I professionisti della salute mentale possono aiutare gli alpinisti a elaborare le proprie emozioni, a sviluppare strategie di coping e a ritrovare un equilibrio psicologico.
Negli ultimi anni, diverse organizzazioni e associazioni alpinistiche hanno lanciato iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica, offrire supporto psicologico e promuovere la prevenzione. Il progetto “Oltre la Vetta” del Club Alpino Italiano (CAI), ad esempio, mira a creare una rete di supporto per chi ha subito lutti o traumi in montagna. Il progetto prevede la creazione di una rete nazionale di professionisti della salute mentale con esperienza nella gestione del lutto traumatico e una conoscenza del mondo dell’alpinismo.
Iniziative come “Oltre la Vetta” rappresentano un importante passo avanti verso la creazione di una comunità alpinistica più consapevole e solidale, in grado di offrire un sostegno concreto a chi ne ha bisogno. È fondamentale che la comunità alpinistica si unisca per creare un futuro in cui la salute mentale sia considerata una priorità, in cui il supporto psicologico sia accessibile a tutti e in cui il coraggio di chiedere aiuto sia visto come un segno di forza, non di debolezza.
La storia di Stefania Galvagni, alpinista diventata simbolo di rinascita e resilienza, dimostra come sia possibile superare anche le difficoltà più grandi. Galvagni ha subito un grave incidente in montagna, ma grazie alla sua forza d’animo e al supporto della sua famiglia e dei suoi amici, è riuscita a riprendersi e a tornare a fare ciò che amava di più: scalare le montagne.
La necessità di una comunità consapevole e solidale
La “battaglia silenziosa” degli alpinisti d’élite richiede un approccio multidisciplinare. È necessario un cambiamento culturale all’interno della comunità alpinistica, che promuova la consapevolezza, la prevenzione e il supporto psicologico. Gli alpinisti devono sentirsi liberi di parlare apertamente dei propri problemi, senza timore di essere giudicati o stigmatizzati.
Le federazioni e le associazioni alpinistiche hanno un ruolo importante da svolgere nella promozione della salute mentale. Possono organizzare corsi di formazione sulla gestione dello stress e delle emozioni, offrire supporto psicologico ai propri membri e sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi di salute mentale tra gli alpinisti.
Anche i media possono contribuire a cambiare la narrazione sull’alpinismo, concentrandosi non solo sulle imprese eroiche, ma anche sulle sfide psicologiche che gli alpinisti affrontano. È importante raccontare storie di resilienza e di superamento delle difficoltà, per ispirare gli altri e per dimostrare che è possibile chiedere aiuto e ritrovare un equilibrio psicologico.
La creazione di una comunità alpinistica più consapevole e solidale è un processo lungo e complesso, ma è fondamentale per garantire il benessere psicologico degli alpinisti e per preservare la bellezza e l’integrità di questa straordinaria disciplina.
Guardare oltre la vetta: un nuovo orizzonte per l’alpinismo
L’alpinismo, come ogni attività umana che spinge al limite, rivela le fragilità nascoste dietro la facciata di eroismo. La salute mentale degli alpinisti non è un dettaglio trascurabile, ma un elemento cruciale per garantire il loro benessere e la sostenibilità di questa pratica.
Per chi ama la montagna e l’alpinismo, è essenziale comprendere che dietro ogni impresa, ogni vetta conquistata, si celano sacrifici, paure e sfide psicologiche che non vanno ignorate. La consapevolezza di questi aspetti può arricchire la nostra comprensione dell’alpinismo e renderci più sensibili alle esigenze di chi lo pratica.
Una nozione base di notizie e approfondimenti su montagna e alpinismo è che la preparazione fisica è fondamentale, ma altrettanto importante è la preparazione mentale. Affrontare le sfide dell’alpinismo richiede una forte resilienza, la capacità di gestire lo stress e le emozioni negative, e la consapevolezza dei propri limiti.
Una nozione avanzata è che la comunità alpinistica ha un ruolo cruciale nel promuovere la salute mentale dei suoi membri. Creare un ambiente in cui gli alpinisti si sentano liberi di parlare apertamente dei propri problemi, senza timore di essere giudicati, è un passo fondamentale per garantire il loro benessere psicologico.
Vi invito a riflettere su come possiamo contribuire a creare una comunità alpinistica più consapevole e solidale, in cui la salute mentale sia considerata una priorità. Solo così potremo garantire che l’alpinismo continui ad essere una fonte di ispirazione e di crescita personale, senza compromettere il benessere di chi lo pratica.







