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- La gestione dei rifugi alpini è a rischio a causa di molteplici fattori, tra cui le lunghe giornate di lavoro, l'isolamento e la redditività incerta. L'esperienza del rifugio Scarpa Gurekian, che ha rinunciato al rinnovo dopo 6 anni, ne è un esempio.
- Il Club Alpino Italiano (CAI) promuove un modello di ospitalità sostenibile basato su essenzialità, sobrietà e certificazione ambientale, puntando a creare un'esperienza che valorizzi il contatto con la natura.
- Claudio Prada e Chiara Benedetti, gestori del rifugio Buzzoni in Valsassina, raccontano di un affitto di 3.000 euro l'anno e incassi mensili variabili, evidenziando la necessità di intervenire sui costi di gestione e diversificare l'offerta.
Una generazione di gestori a rischio estinzione?
Un’eco risuona tra le vette: “Cercasi gestore”. Un annuncio che si ripete sempre più frequentemente per i rifugi alpini, veri e propri avamposti della civiltà in alta quota. Ma dietro questa ricerca si cela una problematica più profonda: la difficoltà nel trovare nuove figure disposte a raccogliere il testimone di una professione impegnativa e ricca di sfide. La questione non è soltanto numerica; si tratta di preservare un ecosistema montano, dove i rifugi rappresentano un anello fondamentale nella catena del turismo e della cultura alpina. L’interrogativo che si pone è se le nuove generazioni siano pronte a confrontarsi con le asperità di questa professione, o se ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale che richiederà nuove strategie e modelli di gestione.
Il problema della successione nella gestione dei rifugi alpini è un tema complesso, alimentato da una serie di fattori interconnessi. La vita in rifugio, per sua stessa natura, comporta sacrifici significativi: lunghe giornate di lavoro, impegno fisico costante, isolamento geografico e difficoltà nell’accesso ai servizi essenziali. Le condizioni meteorologiche avverse, tipiche degli ambienti montani, aggiungono un ulteriore livello di complessità. A tutto ciò si somma una redditività spesso incerta, che non sempre riesce a compensare l’entità dei sacrifici richiesti. Il binomio passione-professione, che un tempo rappresentava un motore sufficiente per attrarre nuovi gestori, sembra oggi non bastare più. È necessario un ripensamento complessivo, che tenga conto delle mutate esigenze dei giovani e delle nuove dinamiche del turismo montano.
L’esperienza del rifugio Scarpa Gurekian, sentinella dell’Agordino, ne è un esempio emblematico. Dopo sei anni di attività, i gestori hanno deciso di non rinnovare il contratto, lasciando un vuoto incolmabile nella Conca Agordina. La difficoltà nel reperire personale qualificato e le sfide logistiche legate alla gestione di una struttura in alta quota hanno pesato sulla decisione finale. Come sottolineato da uno dei gestori, garantire un servizio efficiente per 75 posti a sedere richiede uno sforzo notevole, spesso non adeguatamente compensato. Tuttavia, non mancano esempi di giovani che scelgono di intraprendere questa avventura, attratti dalla passione per la montagna e dalla volontà di mettersi alla prova. Storie come quella di due giovani ingegneri che hanno deciso di gestire un rifugio nel bellunese dimostrano che l’interesse esiste, ma è necessario creare le condizioni affinché possa tradursi in una scelta sostenibile nel lungo periodo.
Ascoltando le voci della montagna: tra esperienza e nuove aspirazioni
Per comprendere appieno la situazione, è fondamentale dare voce ai protagonisti di questo scenario. I gestori storici, con il loro bagaglio di esperienza e conoscenza del territorio, possono offrire una prospettiva preziosa sulle sfide e le opportunità del settore. I giovani aspiranti gestori, con le loro aspettative e ambizioni, rappresentano il futuro dei rifugi alpini. Gli esperti del settore, con la loro visione d’insieme, possono fornire strumenti e strategie per affrontare le problematiche esistenti.
Un ipotetico gestore storico, con trent’anni di esperienza alle spalle, potrebbe affermare: “I tempi sono cambiati. Una volta i giovani erano disposti a fare sacrifici per passione, oggi cercano subito la comodità e il guadagno facile. La montagna non è per tutti, richiede spirito di adattamento e amore per la natura”. Questa testimonianza mette in luce un cambiamento di mentalità nelle nuove generazioni, spesso meno inclini a sopportare le difficoltà e più orientate verso la ricerca di un equilibrio tra vita privata e lavoro. D’altra parte, una giovane aspirante gestrice potrebbe esprimere le proprie preoccupazioni: “Mi piacerebbe gestire un rifugio, ma ho paura di non farcela. Le responsabilità sono tante, il lavoro è duro e non so se sarei in grado di guadagnare abbastanza per vivere. Vorrei avere maggiori garanzie e un supporto concreto per affrontare questa sfida”. Questa voce rivela la necessità di un sostegno maggiore da parte delle istituzioni e delle associazioni di categoria, al fine di incentivare i giovani ad avvicinarsi a questa professione. Un esperto del Club Alpino Italiano (CAI) potrebbe aggiungere: “La gestione di un rifugio richiede competenze specifiche che vanno oltre la semplice passione per la montagna. Bisogna saper cucinare, accogliere i clienti, gestire la sicurezza, conoscere il territorio e promuovere il rifugio. La formazione è fondamentale per garantire un servizio di qualità e la sostenibilità della struttura”. Questa affermazione sottolinea l’importanza di investire nella formazione professionale, al fine di preparare i futuri gestori ad affrontare le sfide del settore.
Questi ipotetici dialoghi evidenziano la complessità della situazione e la necessità di un approccio multidimensionale per affrontare la crisi dei rifugi alpini. Non si tratta solo di trovare nuove figure disposte a gestire queste strutture, ma di creare un ambiente favorevole che possa attrarre e sostenere i giovani, valorizzando al contempo l’esperienza dei gestori storici.

- È fantastico vedere l'attenzione verso i rifugi alpini... 😊...
- La difficoltà nel trovare gestori è un problema serio... 😔...
- E se i rifugi diventassero hub per lo smart working...? 🏔️...
Il ruolo del Cai e i modelli gestionali innovativi: verso un futuro sostenibile
Il Club Alpino Italiano (CAI) riveste un ruolo di primo piano nella gestione e nella promozione dei rifugi alpini. L’associazione, forte di una lunga tradizione e di una profonda conoscenza del territorio montano, si impegna a preservare e valorizzare queste strutture, promuovendo un modello di ospitalità sostenibile e rispettoso dell’ambiente. Come evidenziato in diverse occasioni, il CAI punta su essenzialità, sobrietà e certificazione ambientale, promuovendo un’esperienza in rifugio che valorizzi il contatto con la natura e la consapevolezza del proprio impatto ambientale. Il rifugio, secondo la visione del CAI, deve essere un luogo dove ci si rende conto di quante cose non servono nella vita, un’oasi di semplicità e autenticità in contrasto con la frenesia e il consumismo della vita moderna.
Oltre a promuovere un modello di ospitalità sostenibile, il CAI sta sperimentando modelli di gestione innovativi, volti a superare le difficoltà legate alla gestione individuale dei rifugi. Tra le soluzioni proposte, spiccano la gestione condivisa tra più persone e la creazione di cooperative, che consentono di alleggerire il carico di lavoro e di condividere le responsabilità. Questi modelli favoriscono la creazione di un ambiente di lavoro più stimolante e collaborativo, in grado di attrarre giovani motivati e desiderosi di mettersi alla prova. Inoltre, il CAI promuove la formazione professionale dei gestori, offrendo corsi specifici e programmi di affiancamento, al fine di fornire loro le competenze necessarie per affrontare le sfide del settore. La gestione di un rifugio richiede conoscenze specifiche in diversi ambiti, dalla cucina all’accoglienza, dalla sicurezza alla conoscenza del territorio. Investire nella formazione significa garantire un servizio di qualità e la sostenibilità della struttura nel lungo periodo.
L’attenzione del CAI non si limita alla gestione interna dei rifugi, ma si estende anche alla loro integrazione nel contesto territoriale. I rifugi sono considerati dei veri e propri presidi culturali e ambientali, in grado di promuovere il turismo sostenibile e la valorizzazione delle tradizioni locali. In quest’ottica, il CAI si impegna a collaborare con le istituzioni locali e con le altre associazioni di categoria, al fine di creare una rete di servizi e di opportunità che possa favorire lo sviluppo del territorio montano. La crisi dei rifugi alpini non è solo un problema di gestione, ma una questione che riguarda l’intero ecosistema montano. Affrontare questa sfida richiede un approccio olistico e una visione di lungo periodo, che tenga conto delle esigenze dei gestori, dei turisti e dell’ambiente.
Un esempio concreto di modello innovativo è rappresentato dalla gestione del rifugio Boè, in Alta Badia. La struttura, ampliata e ristrutturata di recente, offre servizi di alta qualità, pur mantenendo un forte legame con la tradizione alpina. La gestione è affidata a un team di professionisti, che si occupano di ogni aspetto, dalla cucina all’accoglienza, dalla sicurezza alla promozione. Il rifugio è diventato un punto di riferimento per gli escursionisti e gli alpinisti, ma anche per i turisti che desiderano vivere un’esperienza autentica in montagna. Questo modello dimostra che è possibile coniugare tradizione e innovazione, offrendo servizi di qualità senza snaturare l’anima del rifugio.
Redditività e prospettive future: investire nel capitale umano e nel territorio
La questione della redditività dei rifugi alpini è un tema centrale, spesso fonte di preoccupazioni per i gestori. I costi di gestione sono elevati, soprattutto a causa delle difficoltà legate all’approvvigionamento, alla manutenzione e allo smaltimento dei rifiuti. Gli affitti possono variare notevolmente, da poche migliaia a decine di migliaia di euro all’anno, a seconda della posizione, delle dimensioni e delle condizioni della struttura. Gli incentivi pubblici sono spesso limitati e legati a leggi regionali, rendendo difficile per i gestori sostenere gli investimenti necessari per migliorare i servizi e la qualità dell’offerta. Tuttavia, è importante sottolineare che la redditività di un rifugio dipende da diversi fattori, tra cui la posizione, la dimensione, la stagione e la capacità del gestore di attrarre clienti. Un rifugio situato in una zona frequentata, con una buona reputazione e una gestione efficiente, può generare un reddito sufficiente per garantire la sostenibilità della struttura e la remunerazione del lavoro del gestore.
La testimonianza di Claudio Prada e Chiara Benedetti, gestori del rifugio Buzzoni, in Valsassina, offre uno spaccato realistico della vita in rifugio. La coppia, che ha in gestione la struttura dal CAI, racconta di un affitto di 3.000 euro l’anno e di incassi che variano da 2.000 a 7.000 euro al mese, con un guadagno reale che è circa la metà. Nonostante le difficoltà, Claudio e Chiara sono animati da una forte passione per la montagna e si impegnano a offrire un servizio di qualità ai loro clienti. La loro storia dimostra che, con impegno e dedizione, è possibile gestire un rifugio con successo, pur in un contesto economico non sempre favorevole. Per migliorare la redditività dei rifugi alpini, è necessario intervenire su diversi fronti. Innanzitutto, è fondamentale ridurre i costi di gestione, attraverso la promozione di pratiche virtuose in materia di efficienza energetica, gestione dei rifiuti e approvvigionamento sostenibile. In secondo luogo, è importante diversificare l’offerta, proponendo servizi innovativi e attività esperienziali in grado di attrarre nuovi clienti. Infine, è necessario promuovere il turismo sostenibile, incentivando gli escursionisti a raggiungere i rifugi a piedi o con mezzi pubblici, al fine di ridurre l’impatto ambientale e favorire lo sviluppo del territorio montano.
Investire nel capitale umano e nel territorio rappresenta la chiave per garantire il futuro dei rifugi alpini. Sostenere la formazione dei gestori, promuovere modelli di gestione innovativi e valorizzare le risorse locali sono azioni fondamentali per creare un ambiente favorevole allo sviluppo del settore. La crisi dei rifugi alpini è una sfida complessa, ma anche un’opportunità per ripensare il ruolo di queste strutture nel contesto del turismo montano. Trasformare i rifugi in presidi culturali e ambientali, capaci di offrire un’esperienza autentica e sostenibile, rappresenta la strada da seguire per garantire il futuro di questo prezioso patrimonio.
Oltre la vetta: nuovi orizzonti per i rifugi alpini del domani
La questione dei rifugi alpini, al di là delle difficoltà contingenti, si rivela uno specchio delle trasformazioni più ampie che investono il mondo della montagna e del turismo contemporaneo. La sfida non è soltanto quella di trovare nuovi gestori, ma di ripensare il ruolo di queste strutture in un contesto in continua evoluzione. I rifugi del futuro dovranno essere sempre più sostenibili, integrati nel territorio e capaci di offrire un’esperienza autentica e coinvolgente ai visitatori. Sarà necessario investire nella formazione dei gestori, promuovere modelli di gestione innovativi e valorizzare le risorse locali, al fine di creare un ambiente favorevole allo sviluppo del settore. Solo così sarà possibile garantire il futuro di questo prezioso patrimonio, preservando al contempo l’identità e la bellezza delle nostre montagne.
La montagna e l’alpinismo, in particolare, offrono spunti di riflessione interessanti. Una nozione base da tenere a mente è che la montagna non è un parco giochi, ma un ambiente selvaggio e imprevedibile che richiede rispetto e preparazione. Una nozione avanzata è che l’alpinismo non è solo una questione di performance fisica, ma anche di etica e responsabilità. Ogni alpinista ha il dovere di proteggere l’ambiente montano e di rispettare le tradizioni e le culture locali. Questo approccio si traduce in un’esperienza più profonda e significativa, che arricchisce sia l’alpinista che il territorio che lo accoglie.
In conclusione, la crisi dei rifugi alpini è un campanello d’allarme che ci invita a riflettere sul nostro rapporto con la montagna e sul modello di turismo che vogliamo promuovere. È necessario superare la logica del consumo e dello sfruttamento, per abbracciare una visione più consapevole e responsabile, che valorizzi la bellezza, la fragilità e la ricchezza del nostro patrimonio montano. Solo così potremo garantire un futuro sostenibile per i rifugi alpini e per le generazioni future.
- Pagina ufficiale del CAI Veneto con informazioni sul Rifugio Scarpa-Gurekian.
- Studio del CAI sul turismo dolce in montagna e nuove generazioni.
- Il sito 'Il Rifugista' offre approfondimenti sulla gestione dei rifugi, un lavoro impegnativo.
- Analisi delle esigenze dei rifugi alpini, studio sulle strutture alpinistiche.







