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- La spedizione "Panbari Q7" ha visto la perdita di Stefano Farronato, 51 anni, e Alessandro Caputo, 28 anni, bloccati da una bufera di neve a circa 5.000 metri sul Monte Panbari.
- Sullo Yalung Ri, una valanga ha causato la morte di 7 persone, tra cui gli italiani Paolo Cocco, Marco Di Marcello e Markus Kirchler, che si preparavano a scalare il Dolma Khang a oltre 6.300 metri.
- Le operazioni di soccorso sullo Yalung Ri sono state ostacolate dalle condizioni atmosferiche proibitive, portando un superstite a lamentare ritardi che hanno causato «gravi perdite di vite umane».
In questi giorni, la comunità alpinistica mondiale è stata colpita da una serie di eventi luttuosi sulle cime dell’Himalaya nepalese. Due distinti incidenti hanno comportato la perdita di vite umane, inclusa quella di cinque scalatori italiani. Le condizioni atmosferiche avverse, originate dal ciclone Montha, e le slavine hanno trasformato un’aspirazione in un dramma per molti.
Le vittime del Panbari
Il primo sinistro ha visto coinvolti Stefano Farronato, 51 anni, perito forestale di Bassano del Grappa, e Alessandro Caputo, 28 anni, maestro di sci di St. Moritz. I due alpinisti, facenti parte della spedizione “Panbari Q7”, erano impegnati nell’ascensione del Panbari, una montagna di 6.887 metri situata in una zona remota tra le regioni di Gorkha e Manang. La cima, raggiunta per la prima volta solamente nel 2006, è rinomata per la sua difficoltà e il suo isolamento.
I contatti con Farronato e Caputo si sono interrotti venerdì 31 ottobre, quando una violenta bufera di neve li ha bloccati al Campo 1, a circa 5.000 metri di quota. Il capospedizione, Valter Perlino, era rimasto al campo base a causa di un malessere, evitando in tal modo la tragedia. Perlino è stato proprio colui che ha dato l’allarme prima di essere tratto in salvo da un elicottero.

Le attività di ricerca e soccorso hanno portato al ritrovamento dei corpi di Farronato e Caputo in prossimità del Campo 1. Le tende erano sparite, ricoperte da strati di neve. La notizia della loro scomparsa ha suscitato profonda tristezza nelle loro comunità di provenienza. Farronato era un provetto alpinista con 18 spedizioni in alta quota al suo attivo, mentre Caputo, studente di Giurisprudenza e maestro di sci, aveva già accumulato esperienze sulle Ande.
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La tragedia dello Yalung Ri
Il secondo evento luttuoso è avvenuto sullo Yalung Ri, una vetta di 5.630 metri ubicata nella valle del Rolwaling, nell’area di Dolakha. Una slavina ha investito il campo base, causando la morte di sette persone, tra cui tre alpinisti italiani: Paolo Cocco, 41 anni, fotografo abruzzese; Marco Di Marcello, 37 anni, guida alpina abruzzese; e Markus Kirchler, 30 anni, altoatesino.
Il gruppo di alpinisti si stava preparando a scalare il Dolma Khang, una cima di oltre 6.300 metri molto apprezzata dagli escursionisti per la sua magnifica vista sull’Everest. I corpi senza vita delle vittime sono stati rinvenuti nelle loro tende, completamente sommersi da numerosi metri di neve.
La valanga ha causato anche quattro feriti e quattro dispersi. Le operazioni di soccorso sono state ostacolate dalle proibitive condizioni atmosferiche e dalle difficoltà burocratiche. Un superstite ha lamentato i ritardi nei soccorsi, affermando che “i soccorsi non sono stati effettuati in tempo, con conseguenti gravi perdite di vite umane”.
Identificazione e cordoglio
Le autorità nepalesi e italiane hanno collaborato incessantemente per identificare le vittime e fornire assistenza ai familiari. Il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, ha espresso il suo cordoglio per la perdita di Paolo Cocco e Marco Di Marcello, sottolineando il contributo che entrambi avevano dato alla comunità abruzzese.
La notizia della morte di Marco Di Marcello è stata inizialmente divulgata, per poi essere smentita a causa del segnale GPS del suo dispositivo che continuava a muoversi. Tuttavia, la speranza di ritrovarlo in vita si è affievolita con il passare delle ore.
La Farnesina ha confermato la morte di Stefano Farronato e Alessandro Caputo, esprimendo il suo cordoglio alle famiglie e assicurando il massimo impegno per fornire assistenza e supporto.
Il lutto dell’alpinismo
Questi tragici eventi hanno scosso profondamente il mondo dell’alpinismo. La montagna, luogo di sfida e di bellezza, si è trasformata in un teatro di dolore. Le vittime erano persone appassionate, esperte e preparate, ma la forza della natura si è rivelata inesorabile.
La scomparsa di questi alpinisti ci ricorda i rischi e le difficoltà che comporta l’esplorazione delle vette più alte del mondo. Ci invita a riflettere sulla fragilità della vita umana di fronte alla potenza della natura e sull’importanza di affrontare la montagna con rispetto, umiltà e consapevolezza.
Riflessioni sulla montagna e la vita
La montagna, amica e nemica, maestra di vita e tomba silenziosa. Questi tragici eventi ci ricordano che la montagna non perdona, che la sua bellezza è pari alla sua pericolosità. La preparazione, l’esperienza e il rispetto non sono mai sufficienti di fronte alla furia degli elementi.
Una nozione base di alpinismo ci insegna che la valutazione del rischio è fondamentale. Conoscere le condizioni meteorologiche, studiare il percorso, avere l’equipaggiamento adeguato sono elementi imprescindibili per affrontare la montagna in sicurezza.
Una nozione avanzata ci spinge a considerare l’impatto del cambiamento climatico sulle montagne. L’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai e l’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi rendono le scalate sempre più pericolose e imprevedibili.
Questi eventi ci invitano a una riflessione profonda sul nostro rapporto con la natura, sulla nostra sete di avventura e sulla nostra capacità di accettare i limiti. Ci spingono a interrogarci sul significato della vita e della morte, sulla bellezza e sulla fragilità dell’esistenza umana. La montagna, con la sua maestosità e la sua severità, ci offre uno specchio in cui possiamo contemplare la nostra umanità.







